Biglietto di sola andata

Lise è una giovane impiegata di uno studio di commercialisti, coscienziosa e zelante.
Di regola le sue labbra, quando non parla o mangia, sono sigillate come la riga di un foglio di bilancio, una linea perfettamente dritta evidenziata dal rossetto fuori moda una bocca inappellabile e giudicante, uno strumento di precisione, una bocca che sorveglia ogni dettaglio…
Leggermente isterica - forse stress da lavoro - si appresta a compiere un viaggio nel sud Europa: Italia, Napoli; con sollecita approvazione del datore di lavoro.
I preparativi, l'attesa dell'imbarco all'aeroporto, il volo, sono descritti con implacabile, fastidiosa, acribìa, quasi a provocare il lettore al quale, da subito, è rivelato l'epilogo della storia. Le lunghe, esasperanti descrizioni; lo strano comportamento della protagonista alla partenza e sull'aereo; i suoi giri, apparentemente a vuoto, all'arrivo, che poi si rivelano invece la ricerca di qualcosa o meglio, di qualcuno, non esplicitato, ma con il presentimento di un'incombenza fatale; l'apparire di personaggi incongruenti dei quali non si comprende la funzione: il tutto punteggiato da improvvisi lampi che forniscono nuovi particolari sul termine del viaggio di Lise; che danno conto del titolo, portando all'esasperazione la curiosità del lettore, fino alla conclusione inaspettata.
La tensione si allenta, ma il lettore, a libro chiuso, è costretto a ripercorrere a ritroso gli eventi nel tentativo di capire se la conclusione sia stata il frutto di stupefacenti contingenze, o della perversa premeditazione di Lise.
Resta comunque indubitabile la straordinaria capacità dell'autrice di costruire un meccanismo narrativo ad alto tasso ansiogeno su una trama labile, e con personaggi privi di spessore umano, pure pedine di un gioco astratto: un esercizio di stile raffinato e di grande godimento per il lettore.

Muriel Spark
Sfogliando il libro
Lise è magra. È alta circa un metro e sessantacinque. Ha i capelli castano chiaro, probabilmente tinti, con una ciocca chiarissima nel mezzo che parte dall'attaccatura e arriva fino alla sommità della testa; i capelli sono corti ai lati e sulla nuca, cotonati. Potrebbe avere ventinove anni come trentasei, ma è improbabile che sia più giovane o più vecchia. È arrivata all'aeroporto; ha pagato il taxi in gran fretta e con una sorta di astratta impazienza, come se non vedesse l'ora di essere altrove. Lo stesso col facchino, mentre la segue con la valigia al check - in. Sembra che nemmeno lo veda.
Ci sono due persone davanti a lei. Lise ha gli occhi distanti, grigio - azzurri e spenti. Le labbra sono una linea dritta. Non è né bella né brutta. Ha il naso corto e più largo di come apparirà nell'immagine ricostruita, in parte grazie al metodo dell'identikit e in parte grazie a una fotografia vera e propria, che a breve sarà pubblicata sui giornali di quattro diverse lingue.
Lise guarda le due persone in fila davanti a lei, prima una donna e poi un uomo, spostando il peso da un piede all'altro, forse nel tentativo di identificare nei visi seminascosti qualcuno che potrebbe conoscere, o forse per alleviare, con quei movimenti e quelle occhiate, una sensazione di insofferenza.
Quando arriva il suo turno, solleva la valigia sulla bilancia e fa scivolare il biglietto verso l'addetto più in fretta che può. Mentre quello lo controlla si gira a guardare la coppia che adesso è in attesa dietro di lei. Scruta entrambe le facce, poi torna a guardare l'addetto, incurante dell'occhiata che le restituiscono i due, ugualmente colpiti dall'ardita policromia della sua mise.
«Ha un bagaglio a mano?» chiede l'addetto, sbirciando oltre il banco.
Lise fa un sorriso da bambolina, toccandosi il labbro inferiore con la punta degli incisivi superiori, e risucchia leggermente l'aria.
«Ha un bagaglio a mano?». Il giovane impiegato, che non ha tempo da perdere, la guarda come a dire: «Ma che ha?». E Lise risponde in un tono diverso da quello che ha adoperato il giorno prima con la commessa quando ha acquistato il suo vistoso completo, da quello che ha usato al telefono, e da quello con cui la mattina presto si è rivolta alla portinaia; adesso ha un tono da bimbetta, che con ogni probabilità chi è abbastanza vicino da sentirla prende per la sua voce normale, per sgradevole che sia. Lise dice: «Ho solo la borsetta. Ci tengo a viaggiare leggera perché viaggio parecchio e so quanto sia orribile in aereo avere accanto qualcuno con un enorme bagaglio a mano che occupa tutto lo spazio per i piedi».
Con un unico gesto l'addetto sospira, arriccia le labbra, chiude gli occhi, posa il mento sulle mani e i gomiti sul banco. Lise si rivolge alla coppia dietro di lei: «Se viaggi spesso come me devi viaggiare leggera, anzi, vi dirò, a momenti non mi portavo proprio niente, perché puoi tranquillamente comprarti tutto quello che vuoi una volta giunta a destinazione, e l'unico motivo per cui sono partita con la valigia è che alla dogana si insospettiscono se entri o esci dal paese senza bagagli. Pensano che tu abbia della droga o dei diamanti dentro la camicetta, e così ci ho messo dentro le solite cose che una porta in vacanza, ma era tutto abbastanza superfluo, come finisci per renderti conto quando hai alle spalle anni di esperienze di viaggio in quattro lingue diverse, e sai quello che fai...».
«Signorina,» dice l'addetto, raddrizzandosi e timbrando il biglietto «guardi che blocca la fila. Abbiamo da fare».