Lazzaro, vieni fuori

26.07.2025

 La trama è molto semplice: Lazzaro, trentenne squinternato, sta per mettere la testa a posto, accettando un lavoro serio, ma prima, in una sorta di rito di passaggio, decide di ritornare a Bellamonte, piccolo paese trentino, dove ha trascorso le vacanze dell'adolescenza, ospite della sede estiva della sua scuola privata, una colonia insomma.  Un pellegrinaggio, ironicamente proustiano, vagamente preannunciato nell'incipit:

Per molto tempo sono andato a letto tardi.
La differenza tra me e Proust.

La differenza sta anche nella scelta del dolcetto:

La legge del ricordo è sentimentale: un krapfen di dieci anni prima ha fragranze inimmaginabili…

La madeleine aveva funzionato, memoria involontaria, ma la ricerca deliberata è ben altro, differente l'esito di tutta l'operazione.

Il passato è bello perché è passato, prima era bello perché era presente. Se cercate di far diventare presente il vostro passato, come minimo sbagliate la coniugazione dei verbi.

Come prevedibile la faccenda diventa imprevedibile. Lazzaro, nel percorrere il proprio personale viale delle rimembranze, non rivive la sua età dell'oro ma, come uno scalcinato cavaliere errante, dall'alito alcolico, colleziona una serie di scontri, poco onorevoli, nei bar nella zona con nemici altrettanto poco onorevoli. Si imbatte, in un numero considerevole di damigelle, ma senza esiti di qualche sostanza. Incontra creature vagamente mostruose, proprio come in un romanzo cavalleresco. Il suo spirito donchisciottesco sarà messo alla prova dalla scoperta di due efferati delitti, compiuti nel pacifico paesino e, con tutta la sconsideratezza che lo contraddistingue, si metterà alla ricerca del colpevole.

Questo libro è più cose, tutte in chiave parodistica: un po' autobiografia, un po' romanzo di formazione, un po' romanzo utopico-cavalleresco, un po' giallo, nella sottospecie dell'hard boiled. Tuttavia di hard c'è solo la testa dell'ostinato protagonista e la sua propensione a cacciarsi nei guai. Gran bevitore di birra, e di grappa all'occorrenza, sigaro puzzolente all'angolo della bocca, battuta pronta per ogni occasione; sfrontato con le donne, che hanno capito benissimo che tipo è, e non si impressionano più di tanto, riassume in sé un bel po' di fanfaroni letterari, più o meno buffoneschi, da Plauto a Falstaff, da Capitan Fracassa a Cirano; e fa la caricatura di quelli che si prendono sul serio nei gialli d'azione; e invece di muoversi nelle tentacolari metropoli degli States, si sposta da Bellamonte a Predazzo (gli americani ci fregano con i nomi dice Guccini), in pullman o grazie a un provvidenziale passaggio. Dell'hard si è detto, e quanto al boiled tutt'al più siamo in presenza di una sbollentatura; se in inglese hard boiled è l'uovo sodo, qui ci ritroviamo con un uovo alla coque, ma non meno saporito.

A scanso di equivoci, forse non si tratta di un libro che resterà nella storia della letteratura. Se ne può fare tranquillamente a meno; la cultura del lettore non ne avrà a patire, ma se deciderà di leggerlo ne trarrà un sottile piacere.
La vera forza del romanzo, infatti, non sta nell'aspetto picaresco della storia e neppure nella trama gialla, ma nel linguaggio, che si dilata in mille arabeschi cangianti: arguzie, riflessioni ironiche, considerazioni sul male di vivere stemperate da un allegro cinismo; che con irridente eleganza va a pungere costumi e stereotipi di pensiero dei tempi nostri. Non crediamoci assolti, siamo tutti coinvolti. 

Intrattenimento? Sì, ma di alto livello.

L'autore Andrea G. Pinketts

Sfogliando il libro

Simona prese un caffè, io una birretta che non mi feci versare in un bicchiere.
«La bevo dalla bottiglia. La birra ha la stessa temperatura del bicchiere e in più ti fa sembrare un duro.»
«Sei un duro?» partecipò Simona.
«Be', una volta aprivo le bottiglie coi denti.»
«Cavoli, e come mai non ti esibisci più?»
«Tre milioni di dentista: l'ultimo tappo era ancora più duro.»

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I proverbi vanno bene per chi non sa inventarsi le proprie frasi. I luoghi comuni, li citano in certi luoghi le persone comuni. 

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Una piccola paffuta cameriera.. mi lanciò uno sguardo che palesava disapprovazione per le mie visibili condizioni temporanee. Ricambiai con un sorrisone di beffarda disapprovazione per le sue condizioni quotidiane. 

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Le aspirazioni si effettuano solo con l'aerosol. 

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Finii la birra trattenendo a stento, in intempestiva reazione interna, quello che le neomadri chiamano vezzeggiativamente "ruttino" e le spiegai che dovevo andare a cercare me stesso. Non si offrì di accompagnarmi. Forse aveva sentito il ruttino. No. Mi spiegò che era pigra e che i suoi sarebbero tornati da un momento all'altro, convinti di trovarla in albergo. Una figlia premurosa o una pigrona diplomatica.

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Dal campo di pallavolo, sopraelevato rispetto alla strada, osservai una figura femminile che speravo mi sarebbe divenuta familiare.
Dea percorreva l'unica via di Bellamonte. Non era una passeggiata, piuttosto una sfilata, una danza di primavera fuori stagione. Si era cambiata, particolare squisitamente femminile. Indossava jeans scoloriti, un maglione rosso e un giaccone blu da marinaio, ma più che un marinaio sembrava una sirena.
Mi riallacciai le scarpe con più attenzione prima di correrle incontro. Quando avete una stringa negligentemente abbandonata come un'odalisca in un quadro di Fiume, c'è sempre qualche samaritano, digiuno di pittura, che convinto di farvi un favore vi dice: "Ha una scarpa slacciata". Osservazione doppiamente bieca in quanto dovete fingere di non esservene accorto e ringraziarlo, nonché piegarvi per compiere l'operazione sotto occhi che disapprovano visibilmente il vostro nodo.
Per evitare di essere disapprovato da Dea, mi infilai l'estremità della stringa sotto la pianta del piede. Baravo, d'accordo, ma non era la prima volta.


Errata corrige

Un piccolo riepilogo e qualche annotazione.
Ma prima una parziale correzione: avevo collocato questa storia nello scaffale intrattenimento intelligente, ebbene è qualcosa di più, come si vedrà.
Terminata e pubblicata la recensione, la storia, ancora acquattata all'ombra di un neurone, è balzata alla coscienza rivendicando i suoi diritti. Mi sento in dovere di fare pubblica ammenda per un peccato, frequente fra i lettori, ma abbastanza grave: la disattenzione, la superficialità. 
Ricominciamo dall'incipit

Per molto tempo sono andato a letto tardi.
La differenza tra me e Proust.

E confrontiamolo con questa frase attribuita a Checov

Se c'è una pistola deve sparare.

Cioè a dire: se in una storia viene presentato un qualsiasi elemento, questo deve avere un ruolo preciso. L'elemento in questione è Proust: è lì, in bella vista, come la lettera rubata di Poe, sarà per questo che non ne ho scorto subito la funzione? Se non ho fatto sparare la pistola? Ho sbagliato, ma ho delle attenuanti. Eppure è tutto chiaro, raccontato esplicitamente: Lazzaro è tornato al paesino delle sue vacanze adolescenziali per cercare… il tempo perduto! Lo vediamo gironzolare in una sorta di pellegrinaggio in tutti i luoghi frequentati allora, tentando di rivivere quelle emozioni lontane, felici o dolorose.
Ma il tempo passato è perduto per definizione, non può tornare, e ogni tappa del suo percorso riserva delle delusioni.

Il passato è bello perché è passato, prima era bello perché era presente. Se cercate di far diventare presente il vostro passato, come minimo sbagliate la coniugazione dei verbi.

La sua recherche si conclude con l'incontro, tenero e commovente, con la ragazza che aveva amato allora. Il presente di entrambi non è esaltante, resta solo la dolcezza del ricordo.
Ma non finisce qui. Questa è una storia complessa, anche se non pare, versipelle.
Questa catamnesi, discesa nella memoria, è un viaggio iniziatico, un rito di passaggio, necessario per approdare alla vita adulta (non sottilizziamo, Lazzaro è sulla trentina, ci ha impiegato un po' a crescere). In quanto iniziando viene sottoposto ad una serie di prove volte saggiarne il coraggio e la forza: si trova spesso a scazzottare, uscendo sempre vittorioso. Ma la prova finale è la più difficile e pericolosa: catturare un pericoloso infanticida.
In diverse edizioni del romanzo, la quarta presenta Lazzaro come un investigatore, per quanto improvvisato e pasticcione, e il romanzo è definito un noir ricco di suspense: non è proprio così, questo è l'anello debole della storia, molti lettori lo hanno fatto, giustamente, notare.
Il romanzo, dato il carattere sfrontato, millantatore, furfantesco, furbastro del protagonista, è anche ascrivibile, in qualche modo al genere picaresco. Alcune figure con le quali Lazzaro viene in contatto rimandano, per caratteristiche fisiche grottesche o per fascino (le fanciulle soprattutto) a personaggi fiabeschi che ricordano i romanzi cavallereschi.
Comunque, quale che sia la sfaccettatura della storia che osserviamo, il registro è sempre parodistico. Se consideriamo la storia gialla, per esempio, Lazzaro è la caricatura degli investigatori duri dei romanzi d'azione americani. Diversi lettori non hanno colto l'ironica esagerazione con cui viene presentato e lo hanno preso in forte antipatia.
Credo che sia chiaro a questo punto, che dietro la storia ci sia una grande consapevolezza compositiva; l'autore aveva ben presente da quale bacino culturale far nascere personaggio e storia, e ha lanciato una sfida ai lettori, che solo in parte è stata colta.