Lazzaro, vieni fuori

La trama è molto semplice: Lazzaro, trentenne squinternato, sta per mettere la testa a posto, accettando un lavoro serio, ma prima, in una sorta di rito di passaggio, decide di ritornare a Bellamonte, piccolo paese trentino, dove ha trascorso le vacanze dell'adolescenza, ospite della sede estiva della sua scuola privata, una colonia insomma. Un pellegrinaggio, ironicamente proustiano, vagamente preannunciato nell'incipit:
Per molto tempo sono andato a letto tardi.
La differenza tra me e Proust.
La differenza sta anche nella scelta del dolcetto:
La legge del ricordo è sentimentale: un krapfen di dieci anni prima ha fragranze inimmaginabili…
La madeleine aveva funzionato, memoria involontaria, ma la ricerca deliberata è ben altro, differente l'esito di tutta l'operazione.
Il passato è bello perché è passato, prima era bello perché era presente. Se cercate di far diventare presente il vostro passato, come minimo sbagliate la coniugazione dei verbi.
Come prevedibile la faccenda diventa imprevedibile. Lazzaro, nel percorrere il proprio personale viale delle rimembranze, non rivive la sua età dell'oro ma, come uno scalcinato cavaliere errante, dall'alito alcolico, colleziona una serie di scontri, poco onorevoli, nei bar nella zona con nemici altrettanto poco onorevoli. Si imbatte, in un numero considerevole di damigelle, ma senza esiti di qualche sostanza. Incontra creature vagamente mostruose, proprio come in un romanzo cavalleresco. Il suo spirito donchisciottesco sarà messo alla prova dalla scoperta di due efferati delitti, compiuti nel pacifico paesino e, con tutta la sconsideratezza che lo contraddistingue, si metterà alla ricerca del colpevole.
Questo libro è più cose, tutte in chiave parodistica: un po' autobiografia, un po' romanzo di formazione, un po' romanzo utopico-cavalleresco, un po' giallo, nella sottospecie dell'hard boiled. Tuttavia di hard c'è solo la testa dell'ostinato protagonista e la sua propensione a cacciarsi nei guai. Gran bevitore di birra, e di grappa all'occorrenza, sigaro puzzolente all'angolo della bocca, battuta pronta per ogni occasione; sfrontato con le donne, che hanno capito benissimo che tipo è, e non si impressionano più di tanto, riassume in sé un bel po' di fanfaroni letterari, più o meno buffoneschi, da Plauto a Falstaff, da Capitan Fracassa a Cirano; e fa la caricatura di quelli che si prendono sul serio nei gialli d'azione; e invece di muoversi nelle tentacolari metropoli degli States, si sposta da Bellamonte a Predazzo (gli americani ci fregano con i nomi dice Guccini), in pullman o grazie a un provvidenziale passaggio. Dell'hard si è detto, e quanto al boiled tutt'al più siamo in presenza di una sbollentatura; se in inglese hard boiled è l'uovo sodo, qui ci ritroviamo con un uovo alla coque, ma non meno saporito.
A scanso di equivoci, forse non si tratta di un libro che resterà nella storia della letteratura. Se ne può fare tranquillamente a meno; la cultura del lettore non ne avrà a patire, ma se deciderà di leggerlo ne trarrà un sottile piacere.
La vera forza del romanzo, infatti, non sta nell'aspetto picaresco della storia e neppure nella trama gialla, ma nel linguaggio, che si dilata in mille arabeschi cangianti: arguzie, riflessioni ironiche, considerazioni sul male di vivere stemperate da un allegro cinismo; che con irridente eleganza va a pungere costumi e stereotipi di pensiero dei tempi nostri. Non crediamoci assolti, siamo tutti coinvolti.
Intrattenimento? Sì, ma di alto livello.

L'autore Andrea G. Pinketts
Sfogliando il libro
Simona prese un caffè, io una birretta che non mi feci versare in un bicchiere.
«La bevo dalla bottiglia. La birra ha la stessa temperatura del bicchiere e in più ti fa sembrare un duro.»
«Sei un duro?» partecipò Simona.
«Be', una volta aprivo le bottiglie coi denti.»
«Cavoli, e come mai non ti esibisci più?»
«Tre milioni di dentista: l'ultimo tappo era ancora più duro.»
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I proverbi vanno bene per chi non sa inventarsi le proprie frasi. I luoghi comuni, li citano in certi luoghi le persone comuni.
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Una piccola paffuta cameriera.. mi lanciò uno sguardo che palesava disapprovazione per le mie visibili condizioni temporanee. Ricambiai con un sorrisone di beffarda disapprovazione per le sue condizioni quotidiane.
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Le aspirazioni si effettuano solo con l'aerosol.
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Finii la birra trattenendo a stento, in intempestiva reazione interna, quello che le neomadri chiamano vezzeggiativamente "ruttino" e le spiegai che dovevo andare a cercare me stesso. Non si offrì di accompagnarmi. Forse aveva sentito il ruttino. No. Mi spiegò che era pigra e che i suoi sarebbero tornati da un momento all'altro, convinti di trovarla in albergo. Una figlia premurosa o una pigrona diplomatica.
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Dal campo di pallavolo, sopraelevato rispetto alla strada, osservai una figura femminile che speravo mi sarebbe divenuta familiare.
Dea percorreva l'unica via di Bellamonte. Non era una passeggiata, piuttosto una sfilata, una danza di primavera fuori stagione. Si era cambiata, particolare squisitamente femminile. Indossava jeans scoloriti, un maglione rosso e un giaccone blu da marinaio, ma più che un marinaio sembrava una sirena.
Mi riallacciai le scarpe con più attenzione prima di correrle incontro. Quando avete una stringa negligentemente abbandonata come un'odalisca in un quadro di Fiume, c'è sempre qualche samaritano, digiuno di pittura, che convinto di farvi un favore vi dice: "Ha una scarpa slacciata". Osservazione doppiamente bieca in quanto dovete fingere di non esservene accorto e ringraziarlo, nonché piegarvi per compiere l'operazione sotto occhi che disapprovano visibilmente il vostro nodo.
Per evitare di essere disapprovato da Dea, mi infilai l'estremità della stringa sotto la pianta del piede. Baravo, d'accordo, ma non era la prima volta.