L'iguana

È un libro stupendo ma, paradossalmente, non lo consiglio: è un libro stregato. Cattura il lettore con una lingua barocca, fastosa, labirintica, ostica, e tuttavia ipnotica; lo trasporta in un mondo onirico, bizzarro, incantato; lo costringe ad un'estrema, dolorosa, sospensione dell'incredulità; lo trascina in un viaggio iniziatico pieno di insidie, di mostri palesi e mascherati, dalle identità cangianti, dove la ragione si smarrisce nel vano tentativo di afferrare un significato che si scompone in una ininterrotta dispersione prismatica.
La struttura è quella classica, fiabesca, secondo lo schema noto: il principe va a caccia e si perde in una foresta incantata piena di pericoli.
Il principe in questo caso è un conte, di ascendenze svizzero-iberiche, Aleardo detto Daddo - vi risparmio tutta la teoria di nomi e titoli - milanese, nobile e danaroso, che parte, non a cavallo, ma a bordo di un panfilo di proprietà, a caccia; non di selvaggina, ma di isole disabitate per acquistarle e valorizzarle con investimenti immobiliari di lusso. La foresta incantata è un'isola, Ocaña: non è segnata sulle carte, è un regno sospeso, la sua apparizione è annunciata da segni inquieti.
Mentre la nave si dirigeva verso la Spagna
[...] qualcosa cambiò. Il tempo era sempre buono, ma non vi era più quello smagliante azzurro, quel sole, anzi la luce appariva vagamente velata, come se vi fossero nuvolette, che invece non c'erano. E il mare non era più turchese: aveva preso una tinta di argento brunito, come il dorso di un pesce, e al posto delle scaglie vi erano tante piccole onde... che s'inseguivano. [...] Una luminosità gialloambrata era tutto ciò che appariva all'orizzonte, mentre, a destra, ancora s'intravedeva la costa bassa e nuda del Portogallo, finché non sparve, come un'ombra, definitivamente. Allora, a quella luce rosata si mescolò un certo verde livido, e le onde, pur senza agitarsi, divennero più grosse. [...] allorché al Daddo che se ne stava sul ponte, un po' pensieroso, al suo sguardo fanciullesco, si presentò lontanissimo, in quella luminosità, un punto verde bruno, a forma di corno, o ciambella spezzata, che non risultava sulla carta. Chiese al marinaio di che potesse trattarsi (aveva pensato, in un primo momento, a un branco di cetacei, [...]
Il marinaio lo informa che si tratta di Ocaña, un'isola del
Diavolo, per questo non è segnata sulle carte.
Al Daddo, che non è superstizioso,
[...] era venuto in mente che se quello scoglio era contornato da qualche brutta leggenda, probabilmente il prezzo era basso, e questo, tutto sommato, non gli dispiaceva. L'anima lombarda ha sempre un sottofondo pratico, che, in qualche modo, è anch'esso bontà.
Sull'isola, abitano il marchese Ilario e cioè "don Ilario Jmenez dei marchesi di Segovia, conte di Guzman"; i suoi fratellastri "Hipolito e Felipe Avaredo-Guzman"; l'iguana, talvolta chiamata Estrellita. Personaggi inquietanti, senza altra patria che quello scoglio, ma con nobili ascendenze lusitane. Miseria e decadenza, eccentricità e bizzarria, l'atmosfera in cui sono immersi; per non parlare della strana creatura che vive con i tre uomini, una serva umiliata e sfruttata, un ibrido mostruoso rettilesco e umano al tempo stesso.
L'uomo di città, giovane, ricco, brillante, resta poco a poco irretito, da un cupo sortilegio.
Sfuggente e ambiguo, questo romanzo non si lascia imbrigliare da una classificazione di genere. Riduttivo e impreciso sarebbe annoverarlo nella letteratura fantastica e, per rispettarne l'estrema peculiarità, eviteremo la locuzione, divenuta ormai luogo comune, di realismo magico. Il racconto, enigmatico ed elusivo, scivola fra le maglie di un'analisi razionale perché la sua è la logica propria del sogno dove gli accadimenti si susseguono in una pluralità simbolica che rende difficile una interpretazione univoca. I personaggi, dall'identità proteiforme e molteplice, disorientano e inquietano il lettore privandolo di ogni riferimento e impedendo ogni giudizio certo su di essi. E, come se non bastasse, lo imprigionano in un linguaggio intricato e labirintico, che lo costringe a tornare spesso indietro, fra parentesi e incisi, rallentando il cammino.

Il parere di un critico d'eccezione
«Nessuno scrittore ha insegnato all'Ortese questa callida acredine del discorrere, quella volatile furia e insieme quella macerazione labirintica che danno, fin dalle prime pagine, una letizia aspra, inquieta, insonne e insieme allucinatoria. Il linguaggio letterario è l'ultima e definitiva forma di incantamento, di carmen, l'ultima formula che agisce e costringe l'inesistente a esistere; e l'incantesimo dell'Iguana, appunto, agisce. Volendo, si può chiamare 'romanzo' questo libro; ma forse è inutile. Ha qualcosa della fiaba, e insieme della ballata, della filastrocca, dell'incubo, del sogno, del delirio; appunto, è un incantesimo che agisce».
GIORGIO MANGANELLI
Personaggi
Don Carlo Ludovico Aleardo di Grees, dei Duchi di Estremadura-Aleardi, e conte di Milano, architetto, detto Daddo, si appresta a partire, su commissione della contessa madre, in cerca di terre esotiche da acquistare in vista di fruttuosi investimenti immobiliari. L'amico editore, Adelchi, a sua volta lo incarica di trovare un manoscritto, esotico e originale, che possa diventare un buon caso letterario, redditizio naturalmente.
[Daddo] è il più allegro e buon lombardo che si possa dare [...] Sui trent'anni, ormai, figlio unico, rimasto ancor giovanissimo, a causa della morte del padre, il buon conte Aleardi, padrone di una estesa sostanza, oculatamente amministrata dalla contessa madre, associava la passione della vela, e una indistinta idealità, che venivagli dal padre,[...] Da qualche parte gli era filtrata nel sangue un'allegria cristiana, che lo faceva indifferente, in fondo, a tutti gli averi, come se il senso delle cose fosse un altro. Quale non sapeva, né, data la modestia della sua intelligenza, avrebbe forse saputo mai; ma erano famose anche allora, che Milano non era così tetra, le sue fresche e calme risate, sempre pronte sulla bocca di fanciullo alla minima occasione, come se se una festa nascosta ad altri, una musica dietro un muro, una certezza misteriosa di gloria e tranquillità, indipendenti dalla gioventù, dagli averi, dal nome, eternamente disponibili, lo rassicurassero.
È questo giovane, buono d'animo, ingenuo perfino, che si appresta a solcare il mare, con la speranza di una bella impresa: trovare un'isola da con-acquistare per accrescere i beni di famiglia; non sa che sarà un viaggio iniziatico, misterioso e imprevedibile.
L'approdo avviene all'isola di Ocaña sconosciuta alle carte nautiche, ma con fama sinistra fra i marinai.
Qui vivono don Ilario Jimenez dei Marchesi di Segovia, conte di Guzman, assieme ai due suoi fratellastri, Hipolito e Felipe Avaredo-Guzman. Esiliati dalla patria lusitana, confinati su un'isola, miseria e decadenza, disfacimento delle cose materiali, abiti e suppellettili, è tutto quel che resta loro dell'antica tracotanza, della loro appartenenza nobiliare. Ma la crudeltà dell'antica attitudine al dominio si esercita ancora sulla serva di casa, una strana creatura, un mostro parrebbe, un'iguana appare ora vecchina, ora bimba, per un inganno degli occhi o per la sua natura ibrida e proteiforme.
Chi è don Ilario Jimenez dei Marchesi di Segovia, conte di Guzman, il diciottenne di già rovinata bellezza, dal portamento e dal volto aristocratico, vestito di panni poveri e colorati, sontuose stoffe bucherellate dalle tarme, che porta ai piedi ciabatte indegne, mani e viso dall'appassita bianchezza?
Poteva avere al più diciott'anni, e tutto, in lui, parlava di una autentica ma già rovinata bellezza. Alto e sottile come una gru, il viso lungo e stretto degli Iberici, ma occhi chiari e una capellatura slavata da britannico, vestiva, come gli altri, di panni poveri e colorati, la cui fattura sembrava rimontare a gran tempo: ma, diversamente da quelli degli altri, ch'erano sul verdone e il blu, con un effetto generale di viola, i suoi erano chiarissimi: un gilet di velluto giallo, calzoni celesti, anche di velluto, calze rosse e, per finire, una camicia di tela verde, riccamente ricamata e logora. Ai piedi, ciabatte indegne. Il viso e le mani che uscivano da quelle sontuose stoffe bucherellate dalle tarme, gualcite e offese in mille modi dagli anni come da un uso, visibilmente, perenne, erano, al pari di quelle, delicati e consunti, con un che d'ingenuo, di timido, di stralunato e, pur nell'appassita bianchezza, di gioioso.
Una figura enigmatica, ora giovane, ora vecchio; gioioso, ma anche dolente, per una pena occulta, misteriosa. Al suo arrivo, Daddo lo vede mentre sta leggendo qualcosa ai fratellastri rozzi e incolti. È un bibliofilo, un letterato, che discute con Daddo di filosofia, del bene e del male, del reale e dell'immaginario. Conserva nella torretta della casa, che funge da biblioteca, due manoscritti, che Daddo potrebbe portare all'amico editore. Ma don Ilario appare anche come un'altra persona, Jeronimo Mendes, uomo d'affari, disinvolto e sicuro di sé; perché tutti i personaggi trasmutano, sfumano, passando da un'identità ad un'altra; perché è il reale ad essere sfuggente e cangiante.

Chi, o cosa è l'iguana? Un ibrido mostruoso, umano e rettile? Riduttivo confinarla in questa categoria ristretta.
Si tratta piuttosto di un simbolo criptico, composito, cangiante, proteiforme, soggiacente alla logica onirica, secondo la quale spesso i personaggi che compaiono mutano aspetto e identità. È volta a volta animale, vecchia, bambina.
Ancora a bordo della sua nave, Daddo la scambia per una vecchia, forse per la postura ripiegata su se stessa. Ma è anche la raffigurazione dell'oppresso, la serva maltrattata e pagata con sassolini colorati anziché con denaro; o l'animale, simbolo della natura,che l'uomo piega e sfrutta in nome di una sedicente superiorità. Ma un tempo è stata Estrellita, una fanciulla dal nome celeste, amata, coccolata, ricoperta di vesti preziose, e poi, coperta di stracci e divenuta creatura demoniaca, è stata relegata in uno scantinato, che abbisogna della benedizione del prete per essere purificato. Qui riaffiora il mito ambiguo e inquietante di Melusina, la donna serpente, carico di significati sull'interpretazione del femminile.