Per espresso desiderio

La bateia è, nell'idioma ispanico-lusitano, la scodella larga, poco profonda, di forma conica - ricorda un po' il cappello cinese - usata dai cercatori d'oro. Credevo, erroneamente che si trattasse di un setaccio, invece è uno strumento, semplice, ma che richiede una grande abilità d'uso.
Chi va alla ricerca dell'oro alluvionale raccoglie con la bateia una piccola quantità di sabbia dal fondo del fiume, poi ruotando destramente la scodella fa uscire l'acqua e la sabbia: se ha avuto fortuna troverà sul fondo il prezioso metallo sotto forma di pagliuzze o addirittura delle piccole pepite.

Questo è ciò che faccio pressoché ogni giorno. No, non immaginatemi, con gli stivaloni, china sull'acqua a dragare il fondo di un fiume. Comodamente seduta, davanti al PC, magari con una tazza di caffè, armata di mouse, vado pescando, in quel torbido e impetuoso fiume che è il web, alla ricerca di rare e preziose pagliuzze, più pregiate dell'oro: libri. Questo fiume trasporta detriti di ogni sorta, alcuni facilmente individuabili, ma bisogna fare attenzione alla pirite, il cosiddetto oro degli sciocchi, che luccica, ma non vale nulla. Con un po' di attenzione e di esperienza si riesce a fare buona pesca.
Il mio recente ritrovamento, una piccola, purissima pepita, è questo libro, di autore pressoché sconosciuto, se non in una ristretta cerchia di amatori. È il libro di due scrittori, quello scrivente e quello descritto, quest'ultimo ancor più ignoto dell'autore del libro: Paul Léautaud, (1872-1956), scrittore e critico teatrale del Mercure de France. Della sua vita, dura e difficile, si conosce soprattutto ciò che egli stesso ha scritto in monumentali diari, intimi e, non di rado, scabrosi. Cinico, misantropo, ha vissuto lontano dal mondo, anche letterario, in una casupola fuori Parigi, in compagnia di decine di cani e gatti, bestie abbandonate e randagie sulle quali riversava pietà e affetto.

Franzosini traccia uno schizzo, rapido e incisivo, una tranche biografica di Léautaud, di quando, trentenne, torna al paese natio per la morte di una zia che lo ha amato e alla quale anche lui, cresciuto senza madre, ha voluto bene. In quell'occasione torna anche lei, la madre che lo ha abbandonato all'età di cinque giorni, che ha visto in rare occasioni, e che non vede da anni.
Il racconto si svolge su tre direttive: il passato, il presente, l'attività letteraria di Léautaud.
Paul cresce col padre: egoista, volgare donnaiolo senza scrupoli; amante della zia seduce anche la sorella giovinetta che rende madre; ogni sera porta a casa una donna diversa. Una storia che farebbe la felicitá morbosa degli scrittori voyeuristi e dei loro lettori che razzolano emozionati e commossi in storie simili. Ma Franzosini non è di quella genia, la sua narrazione asciutta, sobria, evoca nel lettore una pietà composta, pudica, sincera soprattutto.
Anche il presente della storia, un tema delicato, che potrebbe virare facilmente nel pruriginoso, è trattato con delicatezza ed eleganza, in tutta la sua ambigua complessità.
La madre è una donna piacente, giovane ancora, vent'anni soltanto la separano dal figlio. Questi, come è ovvio l'ha desiderata tutta la vita, conservando dei suoi radi incontri con lei ricordi nostalgici e dolorosi. Gli sono mancate tutte le tappe dello sviluppo affettivo del rapporto con la madre che il figlio maschio attraversa prima di emanciparsi, non ultima quella edipica. Paul si ritrova ad affrontarli tutti insieme quei passaggi, è un giovane uomo dalla vita sentimentale e sessuale non proprio soddisfacente, e la madre porta un grave turbamento, non è più il bambino che può dire: quando sono grande ti sposo. Le sue riflessioni, i suoi pensieri, i suoi tormenti, tuttavia, sono quelli di un innamorato, adulto.
Ambiguo il comportamento della madre, quello di una donna esitante e lusingata da un insolito corteggiamento; in evidente imbarazzo comunque: quell'uomo è un estraneo in fondo, non un figlio.Lei si è rifatta una famiglia, rispettabile, ha due figli adolescenti, una posizione da difendere. Prima di ripartire verso casa abbandona ancor più crudelmente Paul, come non dico per chi volesse leggere il libro. I suoi veri sentimenti si scopriranno dopo anni, da una lettera rimasta sigillata, ma di anche di questo taccio.
Infine la scrittura, processo faticoso, di difficile gestazione, ma unico mezzo, per Paul, non di salvezza, ma di pienezza razionale e sentimentale.

La storia è raccontata in terza persona, ma l'immedesimazione nel "personaggio" è tale da farla apparire autobiografica. E non potrebbe essere diversamente, vista la ricchezza della bibliografia consultata.
Franzosini non è certo un ritrattista superficiale, dietro ogni sua biografia c'è un lavoro di ricerca accurato, profondo, capillare, dei documenti. Niente a che vedere con le biografie approssimative e fatue, miranti ad una dozzinale spettacolarità, che tanto successo ottengono fra i lettori di bocca buona e, il più delle volte, digiuni del tema trattato.
Infine il linguaggio: vivido ed efficacemente evocativo di ambienti e personaggi, minuzioso senza pedanteria, fluente e trasparente, tuttavia mai semplicistico.
Una lettura che appaga pienamente il lettore, nell'intelletto, nelle emozioni, nell'apporto culturale e, vero miracolo, in un numero limitatissimo di pagine, come si dice: è la letteratura bellezza!
Sfogliando il libro
Paul è seduto, sprofondato con la schiena dentro una vecchia poltrona, logora e sformata, nella penombra della sua stanza. Sono quasi le undici di sera del 17 marzo 1916. Tutto dorme. Intorno il silenzio, rotto solamente, di tanto in tanto, dal rumore delle auto o dei treni che passano prolungando il loro fragore nella quiete della campagna. Non si dovrebbe vivere che di notte, pensa, aggiustandosi sulle spalle la pelliccetta tutta spelata e sudicia che gli fa da vestaglia da camera. Da qualche tempo Paul ha lasciato Parigi e il suo vecchio appartamento al passage Stanislas e abita a Fontenay - aux - Roses, in un modesto villino dalla facciata scrostata, composto da un pianterreno e un primo piano. Va e viene un paio di volte al giorno dalla capitale, e deve passare almeno due ore in treno. Ma è felice di vivere lontano dal rumore, dalle visite, dalle conversazioni.
È qui, in questa stanza, che è la sua camera da letto, ma anche il suo studio e il luogo dove qualche volta consuma i pasti, che vive, sogna, invecchia. E che si guarda vivere, sognare, invecchiare. Qui, tra l'odore di urina di gatto e di tabacco, pensa ai piaceri di cui ha goduto e a quelli che si è lasciato sfuggire. Ai piaceri che non prova più e a quelli che forse potrà ancora avere. Qui passa serate incantevoli, leggendo quei pochi libri che continua a leggere e rileggere. Non per imparare qualcosa. Dai libri, è sua opinione, non si impara nulla. Li continua a rileggere, sino a saperli ormai quasi a memoria, solo per il piacere, per l'emozione che gli procurano.
È in questa stanza, soprattutto, che trascorre le ore della notte scrivendo il suo diario. Talvolta sino alle tre o alle quattro del mattino. Riempiendo una pagina dopo l'altra − anche dieci, dodici alla volta − con la sua calligrafia precisa, minuta, che fa sembrare le righe tutte uguali. Se non ha le pagine di un quaderno da scolaro, o un foglio volante a disposizione, usa quel che capita. Carta da pacchi, o buste da lettera, o il retro dei moduli di abbonamento al "Mercure de France". Poi ammucchia tutti quei fogli, tutta quella carta, sotto un pezzo di stoffa, ricoperto di polvere e dal colore ormai indefinito.

Si sente felice, appagato, soltanto quando può passare il suo tempo a scrivere queste note. "Valgano quel che valgano!" dice. Come corre veloce la sua penna d'oca. Al piacere intellettuale si aggiunge una specie di piacere fisico: l'odore dell'inchiostro, lo scricchiolio della punta sulla carta…
Scrivere solamente per sé. Non domanda altro. Senza doversi controllare, e senza doversi rileggere. Poveretti quegli scrittori, pensa, che stanno ore su un paragrafo, che si preoccupano delle ripetizioni, che sudano su una frase fino a deformarla, fino a cambiare il senso di ciò che volevano dire. Uno come Flaubert, dice, gli fa venire la nausea. Con la sua mania di recitare le proprie frasi ad alta voce. Non è stile quello, è oratoria! Una ripetizione, dieci ripetizioni, la cosa non lo disturba più di tanto. Chiari, bisogna essere chiari. Chiari e soprattutto sinceri.
(Gralli)