Bianchezza spietata

Moby Dick non si recensisce.
Non si racconta.
Si può solo navigare.
È un viaggio per mare che
ti porta in altri viaggi per mare.
Nel mare bianco del terrore
La seducente, ingannevole innocenza del bianco - sui petali della camelia; sulla iridescente sfericità della perla; sull'abito virginale della sposa; sull'ermellino del giudice, simbolo di giustizia - passa, dall'incedere maestoso dell'Elefante regale del Siam, al galoppo leggendario e sfrenato del niveo Cavallo delle praterie, dalla lampeggiante cascata della criniera, dalla ricurva cometa della coda, e irrompe nel misterioso, ambivalente, territorio del sacro fino a penetrare nella buia caverna di Lascaux. Là qualche ispirato pittore sciamano ha dipinto i possenti tori albicanti sulla rozza parete, davanti ai quali si prostrano, timorosi e riverenti, i cacciatori della tribù.

Fuori della caverna l'albore della luna che si mostra nella sua pienezza, rendendo inutili le torce; ma questi umani, dal sembiante brado e dal pensiero già sublime, sanno che non sempre essa è disposta a dispensare i suoi favori: capricciosamente ridurrà la sua tonda perfezione fino ad oscurare il cielo, terrorizzandoli, per poi tornare, con progressiva condiscendenza, a mostrarsi.

Felix Vallotton, Chiaro di luna, 1895, Musée d'Orsay, Parigi
In tempi più "civili" sarà Ecate il suo nome, protettrice dei viandanti notturni, anche simbolici, ma allo stesso tempo signora di arcani rituali.
La luce candida e l'oscuro terrore del sacro, dove convergono tutte le forze naturali che sovrastano l'animale umano - debole creatura implume e priva di zanne e artigli - mettendone in pericolo la vita. Nel mare, là dove questa ha avuto origine, si incarnano nella balena: albescente come il sudario, come l'incarnato del morente, come gli spettri, tutto questo è Moby Dick.
Rappresentazione, proiezione della sorte finale, destino precocemente noto a questo inerme animale, dal cervello mostruoso, costruttore di strumenti di salvezza e di distruzione.
Moby Dick col suo candore ritenuto soprannaturale, proveniente da un oltre mondo invisibile, funesta invenzione umana, è la morte che si combatte, illusoriamente, dandole la morte.
La paura ha ucciso negli umani il puro candore, li ha resi solo parzialmente, e per poco, capaci di scorgerlo nel lucore dei fenomeni naturali: la bellezza soccombe al terrore, e la mite, innocente balena, trafitta dagli arpioni, arrosserà col suo sangue il mare, e la nostra castità spirituale, noi assassini per paura, per avidità, non per necessità vitale come gli incolpevoli predatori.

Melville analizza, con dovizia di particolari e con grande profondità, nel capitolo XLII, La bianchezza della balena, tutta la complessità dell'apparire del bianco, la sua fenomenologia, nelle cose di natura e nei simboli antropologici, tuttavia confessa che
non abbiamo ancora risolto l'incantesimo di questa bianchezza né trovato perché abbia un così potente influsso sull'anima: più strano e molto più portentoso, dato che, come abbiamo veduto, essa è il simbolo più significativo di cose spirituali, il velo stesso, anzi, della Divinità Cristiana, e pure è insieme la causa intensificante nelle cose che più atterriscono l'uomo!
È storia antica quanto l'umanità, il numinoso non è sempre benevolo, spesso è il suo volto terrifico quello che appare; l'essere umano non può reggere la visione del divino: Semele finisce in cenere, per aver voluto guardare il volto di Zeus; il dio di Mosè si presenta volgendo le spalle. Il colore degli dei è il bianco, la luce, abbagliante al punto da non poter essere sostenuta da occhio umano, e talvolta rende più spaventosi gli oggetti su cui si posa.
È forse ch'essa adombra con la sua indefinitezza i vuoti e le immensità spietate dell'universo, e così ci pugnala alle spalle col pensiero del nulla, quando contempliamo le profondità bianche della Via lattea?
Quando l'occhio intraprende il cammino attraverso la Via Lattea, che riluce nella notte, sa che non vi è meta, se non l'infinito nulla.
Oppure avviene che nella sua essenza la bianchezza non è tanto un colore quanto l'assenza visibile di colore e nello stesso tempo la fusione di tutti i colori: avviene per questo che c'è una tale vacuità muta e piena di significato in un paesaggio vasto di nevi, un incolore ateismo di tutti i colori, che ci fa rabbrividire?
La teoria newtoniana, la luce bianca come somma di tutti i colori, è la morte di tutti i colori, che si annullano in essa, perdono la loro identità, tornano al nulla eterno, come tutte le creature viventi, e forse non solo. Eccola l'angoscia bianca; la morte di tutto non è la caduta nell'oscurità, ma l'assorbimento nella luce.
L'atroce inganno qual è?
Tutti gli amabili colori della natura, qualsiasi decorazione maestosa e graziosa, le dolci sfumature occidue dei cieli e dei boschi, e i velluti dorati delle farfalle e le guance di farfalla delle ragazze, non sono parte, essenza delle cose, ma un triviale belletto, con cui la Natura si adorna, come una meretrice. E il paradosso sta nel fatto che la luce dipinge con gran varietà di tinte, ma essa stessa resta sempre incolore.
E di tutte queste cose la balena albina era il simbolo. Vi stupite dunque della faccia feroce?

Isaac Newton disperde la luce con un prisma di vetro
Qui le puntate precedenti sulla bianchezza della balena:
https://www.bibliosalotto.it/l/la-bianchezza-della-balena/
https://www.bibliosalotto.it/l/bianchezza-assenza-e-fusione-di-colori-ishmael/
(continua) Gralli
