Johnson ed Emily ovvero Il fantasma fedele

Come promesso nell'articolo precedente ecco una storia di fantasmi tratta dal libro di Jerome K. Jerome, del quale esistono varie edizioni, con titoli di poco differenti, anche in audiolibro.
COME ANDAMMO A FINIRE ALLE STORIE DI FANTASMI.
Era la Vigilia di Natale! La Vigilia di Natale, da mio zio John [...] nel salotto fiocamente illuminato (c'era uno sciopero del gas) , dove la luce tremolante del fuoco proiettava strane ombre sulla carta da parati a colori vivaci mentre, fuori, la strada era spazzata dalla tormenta che infuriava senza pietà, e il vento, come uno spirito inquieto, soffiava ululando attraverso la piazza e, con un gemito lamentoso e tormentato, passava in un vortice oltre il negozio del lattaio.

Avevamo cenato, e ce ne stavamo seduti in circolo a chiacchierare e a fumare.
Dopo cena, lo zio preparò del ponce al whisky. Anche a quest'ultimo feci onore: lo disse lo stesso zio John. Disse che era felice, nel vedere che mi piaceva.
La zia andò a letto, subito dopo cena, lasciando il curato del posto, il vecchio dottor Scrubbles, Mister Samuel Coombes, il nostro membro del Consiglio di contea, Teddy Biffles e me a far compagnia allo zio.
Concordammo che era ancora troppo presto per cedere al sonno, almeno per un po', così lo zio preparò un'altra coppa di ponce, e tutti, mi pare, gli facemmo onore; io, almeno, glielo feci senz'altro. E' la mia mania, il desiderare di essere giusto. Restammo alzati per un bel po' e, più tardi, il dottore, tanto per cambiare, preparò del ponce al gin. A me il sapore non parve molto diverso, ma, comunque, tutto era buono e noi eravamo molto felici: erano tutti così gentili! [...]

Poi bevemmo dell'altro ponce, e, nel prepararlo, lo zio fece un errore buffissimo: non ci mise il whisky. Oh, che risate ci facemmo, alle sue spalle! E poi, per penitenza, gli facemmo raddoppiare la dose. Oh, quanto ci divertimmo, quella sera! E poi, in un modo o nell'altro, dobbiamo aver attaccato con i fantasmi, perché, subito dopo, tutto ciò che ricordo è che ci stavamo raccontando storie di fantasmi.
I giri di ponce sono più numerosi di quelli che ho riportato e chi leggerà ne potrà constatare gli effetti sulle storie raccontate.
JOHNSON ED EMILY OVVERO "IL FANTASMA FEDELE".
(Storia di Teddy Biffles)
Ero poco più che un ragazzo, quando incontrai Johnson la prima volta, ero a casa per le vacanze
di Natale e, poiché era la vigilia, avevo avuto il permesso di rimanere in piedi fino a tardi. Quando
aprii la porta per entrare nella mia cameretta da letto, mi trovai a faccia a faccia con Johnson. Mi
passò attraverso, e con un lungo, debole gemito dolente scomparve dalla finestra delle scale.
Lì per lì mi spaventai (ero solo uno scolaretto, a quel tempo, e non avevo mai visto un fantasma) e
avevo un po' di paura ad andare a letto. Ripensandoci, però, mi ricordai che gli spiriti potevano fare del male solo ai peccatori, e così mi coricai, rimboccai le coperte e mi addormentai.
Al mattino dissi a mio padre quello che avevo visto.
- Oh, sì, era il vecchio Johnson - rispose. - Non devi averne paura: vive qui. - E poi mi raccontò la storia del poveretto.

A quanto sembrava, Johnson, da vivo, quand'era giovane, aveva amato la figlia di un ex inquilino
di casa nostra, una ragazza bellissima di nome Emily. Papà non sapeva il cognome.
Johnson era troppo povero per sposare la ragazza, così le diede il bacio d'addio, le disse che sarebbe tornato presto e partì per l'Australia, a cercar fortuna.
Ma l'Australia, allora, non era come diventò in seguito. I viaggiatori, in quel territorio selvaggio,erano pochi e rari e, anche quando se ne acchiappava uno, gli oggetti personali che gli si trovavano addosso avevano spesso un valore commerciale a malapena sufficiente a pagare le semplici spese funerarie che il caso richiedeva. E così Johnson impiegò quasi venti anni a fare fortuna.
Alla fine, comunque, egli portò a termine il compito che si era prefisso e quindi, dopo essere sfuggito con successo alla polizia, e aver lasciato la colonia senza macchia, ritornò in Inghilterra pieno di gioia e speranza, a reclamare la sua promessa sposa.
Arrivò alla casa, ma la trovò silenziosa e abbandonata. Tutto quello che i vicini seppero dirgli fu che, subito dopo la sua partenza, in una notte nebbiosa, tutta la famiglia era sparita senza farsi notare e che da allora nessuno li aveva più visti, né aveva sentito parlare di loro, anche se il padrone di casa e buona parte dei negozianti locali avevano fatto minuziose indagini.
Il povero Johnson, pazzo di dolore, cercò il suo amore perduto per mare e per terra, ma non lo trovò mai e, dopo anni di inutili tentativi, ritornò per finire la sua vita solitaria nella stessa casa dove, un tempo, nei giorni felici, lui e la sua amata Emily avevano passato tante ore beate. Vi aveva vissuto completamente solo, vagando nelle stanze vuote, piangendo e invocando la sua Emily perché tornasse da lui, e, quando il povero vecchio era morto, il suo fantasma aveva continuato con la stessa storia.
Era lì, disse mio padre, quando aveva preso la casa, e perciò l'agente gli aveva fatto uno sconto di dieci sterline all'anno sull'affitto.
In seguito, non feci che imbattermi in Johnson, in giro a tutte le ore della notte, e, per la verità, era lo stesso per tutti noi.
All'inizio, gli giravamo intorno e ci facevamo da parte per lasciarlo passate, ma quando ci facemmo l'abitudine e sembrò che non ci fosse nessun bisogno di tante cerimonie, prendemmo a passargli
direttamente attraverso. Non si poteva dire che ci stesse troppo in mezzo ai piedi. E poi, era un vecchio fantasma gentile e innocuo, e a noi tutti dispiaceva moltissimo per lui e lo
compativamo. In verità, per un po', fu il beniamino delle signore. La sua fedeltà le commuoveva
tanto!
Con il passare del tempo, però, cominciò a diventare un po' seccante. Vedete, trasudava tristezza: neppure un grammo di allegria, o di cordialità. Faceva pena, ma dava ai nervi. Se ne stava seduto sulla scale a piangere per ore e ore, e ogni volta che ci svegliavamo, di notte, sapevamo con certezza che l'avremmo sentito gingillarsi nei corridoi, entrare e uscire dalle diverse stanze, gemendo e sospirando, e così non riuscivamo a riaddormentarci molto facilmente. E, quando davamo una festa, veniva a sedersi fuori dalla porta del soggiorno e singhiozzava tutto il tempo. Non faceva del male a nessuno, no, ma faceva scendere su tutto un'ombra di tristezza.
- Oh, comincio a essere stufo di questo vecchio scemo - disse mio padre, una sera (papà sa essere molto brusco, quando è arrabbiato, come sapete), dopo che Johnson era stato più seccante del solito e aveva rovinato una bella partita di whist, standosene seduto sul camino a gemere, finché nessuno sapeva più quali erano le briscole e neppure che seme era stato calato.
Dovremo sbarazzarci di lui, in un modo o nell'altro. Magari sapessi come fare!
- Beh - disse mia madre, - non metterai mai la parola "fine" con lui, stanne certo, finché non avrà trovato la tomba di Emily. E' quella che va cercando. Tu trova la tomba di Emily, mettigliela sotto il naso e la pianterà. E' l'unica cosa da fare, credi a quello che dico.
L'idea pareva ragionevole, ma l'ostacolo era che nessuno di noi sapeva dove fosse la tomba di
Emily, più di quanto non lo sapesse lo stesso fantasma di Johnson. Il governatore suggerì di rifilare
al poveretto la tomba di qualche altra Emily, ma, a quanto pareva, la sorte volle che non ci fosse nessuna Emily seppellita da quelle parti per miglia nei dintorni. Non mi è mai capitata una zona così totalmente sprovvista di defunte Emily.
Ci pensai su per un po', e poi azzardai anch'io una proposta. - Non potremmo farne noi una falsa per quel vecchio? - indagai. - Pare un tipo ingenuo. Potrebbe cascarci. Comunque, potremmo almeno provare.
- Per Giove, faremo così - esclamò mio padre e la mattina dopo (c'erano con noi gli operai) sistemammo un piccolo tumulo, in fondo al frutteto, con su una lapide che portava la seguente iscrizione: "Consacrato alla memoria di Emily. Le sue ultime parole furono: "Dite a Johnson che l'amo"".

- Questo dovrebbe attirarlo - rifletté papà, una volta finito il lavoro, mentre lo esaminava. - Almeno,
lo spero proprio.
E funzionò! Quella stessa notte, lo attirammo laggiù e... beh, ecco, è stata una delle scene più patetiche alle quali abbia mai assistito, il modo in cui Johnson si buttò su quella lapide e pianse. Papà e il vecchio Squibbins, il giardiniere, quando lo videro, piansero come bambini.
Da allora, Johnson non ci ha più dato nessun fastidio, in casa. Adesso passa tutte le notti a singhiozzare sulla tomba, e sembra perfettamente felice.

- E'ancora lì? - Oh, sì. Vi ci porterò e ve lo mostrerò, la prossima volta che venite a casa nostra: normalmente, il suo orario è dalle 10 di sera alle 4 del mattino; il sabato dalle 10 alle 2.
Un fantasma abitudinario e un po' ingenuo, facile da ingannare, a chi può far paura?
Gralli
