Lafcadio e i suoi fantasmi (1 Europa)

20.11.2025

                                                                                               Non pensare che i sogni appaiano al 
                                                                                                            sognatore solo la notte: il sogno di questo
                                                                                                            mondo di dolore ci appare anche di giorno.
 

                                                                                      (Poesia giapponese,citata da Lafcadio Hearn, "In Ghostly Japan")   

Nel mare Ionio, nei pressi delle coste della Grecia, si trova l'arcipelago delle isole Ionie, un tempo chiamato Eptaneso, "le sette isole". I tanti turisti che oggi vi trascorrono le vacanze ignorano di solito quanto qui s'incontrino secoli di miti, di storia e di poesia. Da nord a sud troviamo: Corfù, Passo, Leucade (che i veneziani chiamavano Santa Maura e dove secondo la leggenda si uccise l'infelice Saffo, gettandosi in mare da una scogliera), la petrosa Itaca di Odisseo, Cefalonia, bagnata dal sangue dei nostri alpini, Zante o Zacinto, dalle sacre sponde cantate da Ugo Foscolo che vi nacque, e infine Cerigo, l'antica Citera dalle cui acque sorse Afrodite. 

Le isole Ionie, da "A map of the Mediterranean Sea with the adjacent regions and seas in Europe, Asia and Africa".                                                                      (William Faden, Geographer to the King, 1785) 

  Queste isole furono per molti secoli un dominio della Repubblica di Venezia. Quando nel 1796 Napoleone privò Venezia della sua indipendenza, passarono alla Francia e, dopo varie vicissitudini, divennero nel 1815 un protettorato britannico, sotto il nome pretenzioso di Stati Uniti delle Isole Ionie.

La bandiera degli Stati Uniti delle Isole Ionie  

 Fu sull'isola di Citera che verso la fine degli anni 40 dell'Ottocento s'incontrarono e scoppiò un'ardente passione tra Charles Bush Hearn, ufficiale chirurgo dell'esercito britannico, di origine irlandese e che prestava servizio nelle isole Ionie, e Rosa Antonia Cassimati, una ragazza greca, appartenente all'alta borghesia, sebbene pare fosse quasi analfabeta. I fratelli della ragazza si opposero con violenza alla relazione tra i due: 

 La leggenda racconta che gli uomini della famiglia – c'era sangue caldo nelle loro vene – aggredirono e accoltellarono l'irlandese, lasciandolo per morto. Si dice che la ragazza, con l'aiuto di un servitore, lo nascose in un fienile e lo riportò in vita, e dopo la sua guarigione fuggì col suo amante riconoscente. (Elizabeth Bisland, "The Life and Letters of Lafcadio Hearn") 

 Il primo figlio della coppia, George Robert, nacque nel luglio del 1849 ma morì nell'agosto dell'anno seguente. Il 25 novembre 1849 Charles e Rosa si sposarono con rito greco ortodosso. Nel frattempo, si erano trasferiti a Leucade ed è proprio da Lefkada, come in greco moderno è chiamata l'isola, che prese nome il loro secondo figlio, battezzato Patrikios Lefcadios Hearn, che vi nacque il 27 giugno 1850. Pochi mesi dopo il reggimento in cui prestava servizio il padre fu trasferito a Grenada, nelle Indie Occidentali Britanniche. Poiché la sua famiglia non approvava il matrimonio e poiché era preoccupato che la sua relazione potesse danneggiare le sue prospettive di carriera, Charles non informò i suoi superiori né della moglie né del figlio e lasciò Rosa e "Paddy", come veniva chiamato in famiglia il bambino, a Leucade. Molti anni dopo, nel 1894, in Dream of a Summer Day, Lafcadio Hearn, ricordando o forse immaginando i giorni di Leucada, avrebbe scritto: 

 Ho memoria di un luogo e di un tempo magico, in cui il sole e la luna erano più grandi e luminosi che ora. Non so dire se si trattasse di questa vita o di una qualche vita precedente, ma so che il cielo era molto più azzurro e più vicino al mondo, quasi come sembra diventare sopra gli alberi di un piroscafo che naviga nell'estate equatoriale… Il mare era vivo ed era solito parlare, e il vento, quando mi toccava, mi faceva urlare di gioia. Una volta o due, in anni diversi, in giorni divini vissuti tra le vette, ho sognato per un attimo che soffiasse lo stesso vento, ma era solo un ricordo. Inoltre, in quel luogo le nuvole erano meravigliose e di colori per i quali non c'è il nome, colori che mi facevano venire fame e sete. Ricordo che le giornate erano molto più lunghe di quelle di adesso, e ogni giorno c'erano per me nuovi piaceri e nuove meraviglie. E tutto quel paese e tutto quel tempo erano governati dolcemente da Uno che pensava solo a come rendermi felice… Quando il giorno finiva, e scendeva il grande silenzio della luce prima del suo sorgere, la luna mi raccontava storie che mi facevano fremere di piacere dalla testa ai piedi. Non ho più sentito storie così belle. E quando il piacere diventava troppo grande, cantava una magica canzoncina che faceva sempre dormire. Infine giunse il giorno del commiato; e pianse e mi raccontò di un incantesimo che mi aveva dato e che non dovevo mai e poi mai perdere, perché mi avrebbe mantenuto giovane e mi avrebbe dato la forza per tornare. Ma non sono mai tornato. E gli anni sono passati; e un giorno seppi di aver perduto l'incantesimo e di essere diventato ridicolmente vecchio.

 Che in realtà non si tratti di un vero ricordo ma di un nostalgico sogno ad occhi aperti è dimostrato dal fatto che Lafcadio lasciò per sempre il suo paradiso perduto già nel 1852. Il padre aveva organizzato di mandare la moglie e il figlio a vivere con la sua famiglia a Dublino, dove però ricevettero una fredda accoglienza. Elizabeth Holmes Hearn, la madre di Charles, era protestante ed ebbe difficoltà ad accettare la fede greco-ortodossa di Rosa e la sua mancanza di istruzione. Rosa non padroneggiava l'inglese e trovò difficile adattarsi a una cultura straniera e al protestantesimo della famiglia del marito. La donna fu infine presa sotto l'ala protettrice della sorella di Elizabeth, Sarah Holmes Brenane, una vedova senza figli che si era convertita al cattolicesimo. 

Targa commemorativa di Lafcadio Hearn Gardiner Street, Dublino  

 Nonostante le attenzioni di Sarah, Rosa soffriva di nostalgia di casa. Quando il marito tornò in Irlanda in congedo per malattia nel 1853, divenne chiaro che la coppia era diventata estranea. Charles, nei sei mesi trascorsi a Dublino, riallacciò i rapporti con una sua vecchia fiamma, Alicia Goslin, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie. Nel marzo del 1854, partì per partecipare alla guerra di Crimea e lasciò la moglie, nuovamente incinta, e il figlio in Irlanda. Ritornò nel 1856, gravemente ferito e traumatizzato, e richiese l'annullamento del matrimonio, sulla base che questo non fosse valido per la legge inglese. Rosa, indennizzata con una cospicua somma di denaro, era ormai tornata nella sua isola natale di Cerigo, dove nacque il suo terzo figlio, Daniel James Hearn. Il destino della donna sarà drammatico; si risposerà con un cugino, cittadino greco di origine italiana, Giovanni Cavallini, avrà da lui altri quattro figli ma finirà i suoi giorni nel 1882 nel manicomio di Corfù, dopo dieci anni di ricovero. Cavallini richiese come condizione per il matrimonio che Rosa rinunciasse alla custodia di entrambi i figli. Il risultato fu che James fu mandato da suo padre a Dublino, mentre Patrick Lafcadio fu dato in affido permanente a Sarah Brenane. Entrambi i bambini non avrebbero mai più rivisto la madre. Quanto a Charles, nel luglio del 1857 si sposò con Alicia Goslin e lasciò l'Irlanda con la nuova moglie e il piccolo James per Secunderabad, una città in India, dove aveva ottenuto un incarico governativo. Patrick non avrebbe mai più rivisto né il padre né il fratello. Charles morirà di malaria nel golfo di Suez nel 1866. 

 Lafcadio Hearn e la sua prozia Sarah Brenane  

 Non stupisce che, in una lettera, scritta prima del 1889 al suo futuro biografo George Gould, Hearn scrivesse: 

 Quanto a me, ho buoni motivi per non ringraziare i miei antenati; ed è un piacere che io non possa, neppure se lo volessi, risalire indietro a due generazioni e nemmeno a una da parte di mia madre. La metà di questi greci è mescolata con turchi e arabi - non so quanto io abbia, o possa avere, di questa mescolanza orientale. E poi ancora: Non so nulla di mia madre, neppure se sia viva o morta. Mio padre è morto mentre tornava dall'India. 

 Nonostante fosse stato abbandonato dai genitori Lafcadio fu accudito con attenzione da Sarah e crebbe in condizioni privilegiate. È molto difficile districarsi su tutto ciò che riguarda l'infanzia di Patrick Lafcadio e persino le sue parentele; i tanti biografi offrono versioni diverse e i più seri arrivano ad affermare che il mistero non può essere chiarito. Lo stesso Hearn, quando nelle sue lettere parla di quegli anni, spesso si contraddice e a volte finge di non sapere o non ricordare. In un caso afferma addirittura di essersi scordato il nome di sua madre. Dai quattro a tredici anni, Patrick visse con la signora Brenane, nei mesi invernali nella sua casa al 73 di Upper Leeson Street a Dublino, in quelli estivi nella tenuta dell'ex marito a Tremore, sulla costa meridionale dell'Irlanda, e in una casa a Bangor, nel Galles. La tutrice assunse un precettore per fornire a Hearn l'istruzione di base e i rudimenti della religione cattolica. Hearn ebbe libero accesso alla considerevole biblioteca di Brenane e iniziò ad esplorarla, divorando libri con una precoce facilità. Scoprì i miti greci, il Paradiso perduto di Milton, ma anche autori inadatti alla sua giovane età. I Tales of Wonder di Matthew Gregory Lewis gli causarono incubi che terrorizzarono le sue notti. Hearn ricorda anche una sua bambinaia di Connaught, che ben conosceva i costumi popolari e le leggende irlandesi, e che "mi raccontava fiabe e storie di fantasmi".
 In un suo saggio pubblicato nel 1900 Hearn racconta le sue terrificanti esperienze infantili:

 Verso i cinque anni fui condannato a dormire da solo in una stanza isolata, che da quel momento in poi fu sempre chiamata la Stanza del Bambino. (A quel tempo non venivo quasi mai chiamato per nome, ma ci si riferiva a me come "il Bambino"). La stanza era stretta, ma molto alta e, nonostante un'alta finestra, molto buia. Vi si trovava un caminetto in cui non si accendeva mai il fuoco; e il Bambino sospettò che il camino fosse infestato. Fu data disposizione che nella Stanza del Bambino di notte non doveva essere lasciata accesa nessuna luce, semplicemente perché il bambino aveva paura del buio. La sua paura del buio era stata giudicata un disturbo mentale che richiedeva un severo trattamento. Ma il trattamento aggravò il disturbo. In precedenza ero abituato a dormire in una stanza ben illuminata, insieme a una bambinaia che si prendeva cura di me. Pensai che sarei morto di paura quando fui condannato a giacere da solo al buio e, cosa che mi sembrava allora abominevolmente crudele, in realtà chiuso nella mia stanza, la più lugubre della casa. Notte dopo notte, dopo che ero stato messo al caldo nel letto, la lampada veniva rimossa; la chiave faceva clic nella serratura; la luce protettiva ed i passi del mio guardiano si allontanavano insieme. In quel momento si abbatteva su di me un'agonia di paura. Qualcosa nell'aria nera sembrava raccogliersi e crescere – (io pensavo di poterla persino sentire crescere) – fino a quando dovevo urlare. Le urla portavano regolarmente alla punizione; ma riportavano anche la luce, che mi consolava della punizione. Alla fine questo fatto si scoprì e fu dato ordine di non prestare più attenzione alle grida del Bambino. Perché provavo una paura così folle? In parte perché per me l'oscurità è sempre stata popolata da ombre di terrore. Fino a dove giunge la memoria, avevo sofferto di brutti sogni; e quando da essi mi svegliavo vedevo sempre le figure sognate, in agguato nell'ombra della stanza. Presto svanivano; ma per alcuni istanti mi apparivano come realtà tangibili. Ed erano sempre le stesse figure… A volte, senza che fossero un preludio ai sogni, le vedevo al crepuscolo, che mi seguivano da una stanza all'altra, o che allungavano alle mie spalle lunghe mani fioche, da una storia all'altra, su dalle intercapedini di profonde scale. Mi ero lamentato di questi spettri solo per sentirmi dire che non dovevo mai parlare di loro, e che non esistevano. Mi ero lamentato con tutti in casa; e tutti in casa mi avevano ripetuto la stessa cosa. Ma c'era l'evidenza di ciò che i miei occhi avevano visto! Potevo spiegare il fatto che questa evidenza era negata solo in due modi: o le ombre avevano paura dei grandi e si mostravano solo a me, perché ero piccolo e debole; oppure l'intera famiglia aveva accettato, per qualche orribile ragione, di dire ciò che non era vero. Quest'ultima teoria mi sembrava la più probabile, perché avevo più volte percepito le forme quando non ero incustodito; e la conseguente forma di segretezza mi spaventava non meno delle visioni. Perché mi era proibito parlare di ciò che avevo visto, e persino udito, su scale scricchiolanti, dietro ondeggianti cortine? "Niente ti farà del male". Questa era la spietata risposta a tutte le mie suppliche di non essere lasciato solo di notte. Ma i fantasmi mi hanno fatto male. Solo che avrebbero aspettato fino a quando mi fossi addormentato, e quindi in loro potere, perché possedevano mezzi occulti per impedirmi di alzarmi o muovermi o gridare. È inutile commentare la politica di rinchiudermi da solo con queste paure in una stanza buia. Sono stato tormentato in modo indicibile in quella stanza, per anni! Perciò mi sentii relativamente felice quando infine mi mandarono in un collegio per bambini, dove i fantasmi si azzardavano a mostrarsi molto raramente.
 

Ma come si manifestavano al Bambino questi fantasmi? 

 Non erano come alcuna persona che avessi mai conosciuto. Erano figure tenebrose e vestite di scuro, capaci di atroci auto-distorsioni, capaci, ad esempio, di crescere fino al soffitto, e poi di attraversarlo, e poi di allungarsi, a testa in giù, lungo la parete opposta. Solo i loro volti erano nitidi e io cercavo di non guardare i loro volti. Nel sogno provavo anche - o credevo di provare - a svegliarmi, tirandomi le palpebre con le dita, per cercare di non vederli; ma le palpebre restavano chiuse, come sigillate… Molti anni dopo, le spaventose tavole del "Traité des Exhumés" di Orfila, viste per la prima volta, mi richiamarono con un sussulto nauseante gli onirici terrori dell'infanzia. Ma per comprendere l'esperienza del Bambino, bisogna immaginare i disegni di Orfila intensamente vivi, e continuamente allungati o distorti, come in qualche mostruosa anamorfosi. […] 

Tavola dal "Traité des exhumations juridiques" di Mathieu Orfila e Octave Leseur, 1831  

 L'Essere senza nome stava arrivando, si stava avvicinando, stava salendo le scale. Potevo sentirne il passo, rimbombante come il suono di un tamburo soffocato, e mi chiedevo perché nessun altro lo sentisse. L'infestatore avrebbe impiegato molto, molto tempo per arrivare, fermandosi malevolmente dopo ogni orribile calpestio. Poi, senza uno scricchiolio, la porta sprangata si apriva - lentamente, lentamente, - e la cosa entrava, farfugliando senza far rumore, - e allungava le mani, - e mi stringeva, - e mi gettava sul soffitto nero, - e mi prendeva mentre cadevo per lanciarmi su ancora, e ancora, e ancora… In quei momenti la sensazione non era di paura: la paura stessa era stata intorpidita dal primo attacco. Era una sensazione che non ha nome nella lingua dei vivi. Perché ogni tocco causava una scossa di qualcosa di infinitamente peggiore del dolore, qualcosa che fremeva nel mio essere più intimo e segreto, una sorta di abominevole elettricità, che mi faceva scoprire inimmaginabili capacità di sofferenza in regioni della sensibilità totalmente sconosciute. Questo era comunemente il lavoro di un singolo aguzzino; ma ricordo anche di essere stato catturato da un gruppo di loro e sballottato dall'uno all'altro, apparentemente per molti minuti. (Lafcadio Hearn, "Nightmare-Touch", in "Shadowings") 

 Anche la religione influì negativamente sulle fantasie dello scrittore. Il Bambino non aveva ricevuto una solida educazione religiosa e ripeteva le preghiere "come avrebbe potuto fare un pappagallo". In un frammento autobiografico ritrovato dopo la sua morte, racconta: 

 Suppongo che mi sia stato permesso di rimanere così a lungo in una felice ignoranza dei dogmi perché ero un bambino nervoso. Certamente non era per nessun'altra ragione che a quelli che mi stavano intorno era stato ordinato di non raccontarmi né storie di fantasmi né favole, e che mi era stato severamente proibito di parlare di fantasmi. Ma nonostante tali ingiunzioni fui condannato a imparare, del tutto inaspettatamente, qualcosa circa i folletti molto più cupo di tutti quelli che mi avevano perseguitato. Questa indesiderabile informazione mi fu data da un'amica di famiglia, un'ospite. I nostri visitatori erano pochi e le loro visite, di solito, brevi. Ma avevamo un'ospite privilegiata che veniva regolarmente ogni autunno e rimaneva fino alla primavera successiva, una convertita [al cattolicesimo], una ragazza alta che somigliava ai lunghi angeli delle mie illustrazioni francesi. […] Non era una parente ma mi era stato detto di chiamarla "cugina Jane". […] Avevo sentito dire che passava le sue estati in qualche convento, e che voleva farsi suora. Chiesi perché non lo fosse diventata e mi dissero che ero troppo giovane per capire.

 La giovane donna si scandalizzò quando si rese conto dell'ignoranza del bambino in fatto di religione ed era solito ammonirlo finché: 

 Una mattina (ricordo che era una cupa mattina invernale), avendo finalmente perso la pazienza durante una di queste noiose esortazioni, chiesi coraggiosamente alla cugina Jane di dirmi perché avrei dovuto cercare di piacere a Dio più che a qualsiasi altro. Ero allora seduto su un piccolo sgabello ai suoi piedi. Non potrò mai dimenticare lo sguardo che scurì i suoi lineamenti mentre ponevo la domanda. Subito mi sollevò, mi mise in grembo e fissandomi in viso i suoi occhi neri con una serietà così penetrante da terrorizzarmi, esclamò: «Bambino mio!... è possibile che tu non sappia chi è Dio?» «No», risposi in un sussurro soffocato. «Dio, Dio che ti ha fatto, Dio che ha fatto il sole, la luna e il cielo, gli alberi e i bei fiori, tutto… Non lo sai?» Ero troppo allarmato dai suoi modi per rispondere. «Non sai», proseguì, «che Dio ha creato te e me?... che Dio ha creato tuo padre e tua madre e tutti gli altri?... Non conosci il Paradiso e l'Inferno?» Non ricordo tutto il resto delle sue parole; posso ricordare con chiarezza solo le seguenti: «ed essere mandato giù all'inferno a bruciare vivo nel fuoco per sempre e per sempre… Pensaci! - sempre bruciare, bruciare, bruciare! - urlare e bruciare! urlare e bruciare! – senza poter mai essere salvato dal dolore del fuoco… Ti ricordi quando ti sei bruciato il dito con la lampada? Pensa a tutto il tuo corpo che brucia, sempre, sempre, sempre brucia! - per sempre e per sempre!» Riesco ancora a vedere il suo viso nell'istante in cui disse quella frase, l'orrore che vi era dipinto, e il dolore… Poi d'improvviso scoppiò in lacrime, mi baciò e uscì dalla stanza. Da quel momento detestai la cugina Jane, perché mi aveva reso infelice in un modo nuovo e irreparabile. Non dubitai di ciò che aveva detto; ma la odiai per averlo detto, forse soprattutto per il modo orribile in cui l'aveva detto. Ancora oggi la sua memoria ravviva il dolore sordo dell'ipocrisia infantile con cui mi sforzavo di nascondere il mio risentimento. Quando ci lasciò in primavera, speravo che sarebbe morta presto, per non dover mai più rivedere il suo viso. ("My Guardian Angel", in "The Life and Letters of Lafcadio Hearn" di Elizabeth Bisland) 

 Nel 1861, la sua prozia, consapevole che Hearn si stava allontanando dal cattolicesimo e su suggerimento di Henry Hearn Molyneux, un giovane parente del suo defunto marito, lo mandò in un collegio cattolico in Francia, ma il ragazzo fu disgustato da quel tipo di vita e rinunciò definitivamente alla fede cattolica romana. In quel periodo imparò benissimo il francese e ciò gli permise in seguito di tradurre le opere di Guy de Maupassant e Gustave Flaubert. Nel 1863 Sarah Brenane si trasferì in Inghilterra e investì la sua fortuna per sostenere gli affari di Henry Hearn Molyneux. Patrick Lafcadio, sempre su suggerimento di Molyneux, fu iscritto al St. Cuthbert's College di Ushaw, un seminario cattolico nella contea di Durham, in Inghilterra. Anche se alcuni biografi sostengono che fosse, forse, un "bad boy", Patrick fu per tre anni il miglior studente di composizione inglese del College. 

Hearn concluse a Ushaw il suo percorso di trasformazione spirituale, allontanandosi definitivamente non solo dal cattolicesimo ma dal cristianesimo in generale, che sostituì con gli ideali dell'antica Grecia. Le paure che lo avevano perseguitato in casa della prozia si dissiparono a poco a poco: 

Il terrore non era ancora scomparso ma ora volevo solo motivi per non credere più a tutto ciò che temevo e odiavo. Nel sole, nel verde dei campi, nell'azzurro del cielo, trovai una gioia prima sconosciuta. Dentro di me nuovi pensieri, nuove immagini, vaghi desideri di non so cosa: ma vivificanti ed emozionanti. Cercavo la bellezza, e la trovavo dovunque: nei volti dei passanti, negli atteggiamenti e nei movimenti, nell'equilibrio delle piante e degli alberi, nelle lunghe nuvole bianche, nelle linee azzurre delle lontane colline. In certi momenti il semplice piacere della vita si trasformava in una gioia così grande, così profonda, che mi spaventava. Ma altre volte mi prendeva una nuova e strana tristezza, un dolore oscuro e inspiegabile. Ero entrato nel mio Rinascimento. (Lafcadio Hearn, "Idolatry", in "The Life and Letters of Lafcadio Hearn" di Elizabeth Bisland) 

 A sedici anni, mentre si trovava in un parco a Ushaw, Hearn si ferì all'occhio sinistro. L'occhio s'infettò e, nonostante i consulti di specialisti a Dublino e Londra, il ragazzo perse la vista. Hearn già soffriva di una grave miopia e la ferita lo lasciò con problemi permanenti, costringendolo a portare con sé una lente d'ingrandimento per il lavoro da vicino e un telescopio tascabile per vedere qualsiasi cosa oltre una breve distanza. Hearn evitò sempre di portare occhiali, credendo che gli avrebbero indebolito ulteriormente la vista. L'iride rimase scolorita e Hearn ne fu imbarazzato per tutta la vita. Era solito coprire l'occhio sinistro mentre conversava e ogni sua fotografia lo mostra di profilo, in modo da nascondere l'occhio sinistro.
Nel 1867, Henry Molyneux andò in bancarotta e Sarah Brenane, che gli aveva affidato la gestione dei suoi beni, lo seguì nella rovina economica. Poiché non c'erano più i soldi per pagare le tasse scolastiche, Hearn fu mandato nell'East End di Londra a vivere con Catherine Delaney, una ex cameriera della prozia. Lei e il marito avevano poco tempo e poco denaro per Hearn che passò all'improvviso da una vita agiata ad una squallida povertà. Si conosce poco di questo periodo della vita di Patrick Lafcadio. L'unica fonte sono i suoi racconti molto coloriti. Scrisse ad Achilles Daunt che aveva vissuto in un infame quartiere vicino al Tamigi e che aveva dovuto rifugiarsi negli ospizi di povertà. La sua descrizione degli orrori notturni, di finestre spalancate violentemente o frantumate, urla di agonia o grida di omicidio, seguite da un pesante tonfo nel fiume, è così sinistra che ci si chiede se debba essere presa completamente sul serio. L'effetto principale del soggiorno di Hearn a Londra fu di lasciargli un invincibile orrore per le grandi città industrializzate, un orrore che non l'avrebbe mai lasciato. Come scrisse anni più tardi: 

 Non vi era nulla di bello che lo attraesse tra quelle sterminate rupi che muravano l'universo e il tramonto, il cielo e il vento… Vide la prostituzione e l'ubriachezza che rendono orribile la notte nella più grande città del mondo e si meravigliò dell'ipocrisia convenzionale che finge di non vedere, e della religione che ringrazia per le condizioni esistenti, e dell'ignoranza che manda missionari dove non c'è bisogno di loro, e delle enormi opere di beneficenza che aiutano le malattie e il vizio a propagare la loro specie. (Lafcadio Hearn, riportato in "A Fantastic Journey. The Life and Literature of Lafcadio Hearn" di Paul Murray) 

Gustave Doré, da "London: A Pilgrimage", 1872 

  Nel 1869, Henry Molyneux aveva recuperato una certa stabilità economica e la settantacinquenne Sarah Brenane era malata. L'uomo, deciso a porre fine ai suoi obblighi finanziari nei confronti di Hearn, gli acquistò un biglietto di sola andata per New York e spiegò al diciannovenne come trovare la strada per Cincinnati, dove vivevano la sorella di Molyneux e il marito, Thomas Cullinan, da cui avrebbe potuto trovare assistenza per guadagnarsi da vivere.

(continua)                                                                                                                   DrRestless (Roberto Gerbi)