Le sirene. Il canto del desiderio 1
[...] ero subito salito in barca; pochi colpi di remo mi avevano allontanato dai ciottoli della spiaggia [...] quando sentii un brusco abbassamento dell'orlo della barca, a destra, dietro di me, come se qualcheduno vi si fosse aggrappato per salire. Mi voltai e la vidi: il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare, due piccole mani stringevano il fasciame. Quell'adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e lasciava intravedere dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani. Non era però uno di quei sorrisi come se ne vedono fra voialtri, sempre imbastarditi da un'espressione accessoria, di benevolenza o d'ironia, di pietà, crudeltà o quel che sia; esso esprimeva soltanto se stesso, cioè una quasi bestiale gioia di esistere, una quasi divina letizia. Questo sorriso fu il primo dei sortilegi che agisse su di me rivelandomi paradisi di dimenticate serenità. Dai disordinati capelli color di sole l'acqua del mare colava sugli occhi verdi apertissimi, sui lineamenti d'infantile purezza.

Knut Ekwall Il pescatore e la sirena
[...] come chiunque altro volli credere di aver incontrato una bagnante e, muovendomi con precauzione, mi portai all'altezza di lei, mi curvai, le tesi le mani per farla salire. Ma essa, con stupefacente vigoria emerse diritta dall'acqua sino alla cintola, mi cinse il collo con le braccia, mi avvolse in un profumo mai sentito, si lasciò scivolare nella barca: sotto l'inguine, sotto i glutei il suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e terminava in una coda biforcuta che batteva lenta il fondo della barca. Era una Sirena.
Così il vecchio Rosario La Ciura, insigne studioso dell'antica cultura greca - nel racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La sirena - rievoca, per un giovane amico, l'incontro prodigioso che segnerà tutta la sua vita. Sarà un amore che durerà solo tre settimane, ma di un erotismo primordiale, intenso e totalizzante, sensuale e spirituale, animale e divino, al tempo stesso. Un amore che non gli permetterà di viverne più nessun altro.
Riversa poggiava la testa sulle mani incrociate, mostrava con tranquilla impudicizia i delicati peluzzi sotto le ascelle, i seni divaricati, il ventre perfetto; da lei saliva quel che ho mal chiamato un profumo, un odore magico di mare, di voluttà giovanissima. Eravamo in ombra ma a venti metri da noi la marina si abbandonava al sole e fremeva di piacere. La mia nudità quasi totale nascondeva male la propria emozione.

Herbert James Draper - Deniz Kızı (detail)
E sotto il sole, l'orgasmo del mare, diffuso in mille luci sfaccettate. Una descrizione intrisa di penetrante erotismo, per il contenuto e per la prosa, evocativa e fluente come le onde che lambiscono la barca.
Dopo il sorriso, e la malia del profumo salmastro, la seduzione della voce, che non è propriamente un canto, ma qualcosa di ben più complesso, cosmico.
Parlava e così fui sommerso, dopo quello del sorriso e dell'odore, dal terzo, maggiore sortilegio, quello della voce. Essa era un po' gutturale, velata, risuonante di armonici innumerevoli; come sfondo alle parole in essa si avvertivano le risacche impigrite dei mari estivi, il fruscio delle ultime spume sulle spiagge, il passaggio dei venti sulle onde lunari. Il canto delle Sirene [...] non esiste: la musica cui non si sfugge è quella sola della loro voce.
E infine l'amplesso, anzi i ripetuti amplessi.
Giungemmo a riva: presi fra le mie braccia il corpo aromatico, passammo dallo sfolgorio all'ombra densa; lei m'instillava già nella bocca quella voluttà che sta ai vostri baci terrestri come il vino all'acqua sciapa. [...] in quegli amplessi godevo insieme della più alta forma di voluttà spirituale e di quella elementare, priva di qualsiasi risonanza sociale [...]

Dalle membra di lei immortali scaturiva un tale potenziale di vita che le perdite di energia venivano subito compensate, anzi accresciute. In quei giorni [...] ho amato quanto cento dei vostri Don Giovanni messi insieme per tutta la vita. E che amori! [...] lontani dalle pretese del cuore, dai falsi sospiri, dalle deliquescenze fittizie che inevitabilmente macchiano i vostri miserevoli baci.

Leighton The Fisherman and the Syren 1856-1858
Il racconto lascia nel lettore il dubbio, come sempre fa la vera letteratura, che allude e non impone la sua interpretazione: il vecchio dice la verità o racconta, inconsapevolmente, un suo sogno? Un suo profondo desiderio? Appassionato studioso, già da giovanissimo, confida al suo interlocutore che quando si frequentano, notte e giorno, dee e semidee come facevo io in quei tempi, si disdegnano gli amori volgari, si va alla ricerca di un erotismo assoluto: carnale, estetico, spirituale, intellettuale, medium fra l'umano e il divino.
Quello con la Sirena non è forse l'incontro con uno di quei demoni meridiani che, nell'assolato mezzogiorno mediterraneo, fanno visita agli uomini: miraggi, materializzazioni di desideri, di sogni, di paure? Perché in fondo queste antiche figure mitologiche altro non sono che proiezioni di altre figure, inquiete, tormentate, atterrite, avide di conoscenza, quelle che si agitano nell'interiorità di una creatura che ha imparato a pensare se stessa pensante.
Questa dunque la chiave di volta per tentare, con molta modestia e molta difficoltà, non di interpretare, ma di dare qualche rapida pennellata che possa evocare una figura mitologica fra le più complesse che esistano, presente con poche varianti in molte culture. Una figura, quella della Sirena, ancora ai giorni nostri, pervasiva e carica di densi, multiformi e contraddittori significati. Ispiratrice delle arti, della letteratura, della cultura di massa, ma anche strumento di introspezione per comprendere il mondo delle nostre emozioni e delle nostre aspirazioni, conoscitive e intellettuali.
La Sirena di Tomasi di Lampedusa, bellissima, ibrida creatura marina, è nella sua seducente sensualità, la proiezione dell'ideale di un amore assoluto, di un Eros capace di unire in sé il desiderio sessuale primordiale, svincolato da sentimentalismi, moralismi e convenzioni, e anche l'aspirazione alla "voluttà spirituale".
La più comune immagine che il termine Sirena evoca è quello, perturbante e sensuale, della donna-pesce, femmina bellissima dalla cintola in su, ma che sotto l'inguine, sotto i glutei ha il corpo di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee e azzurre, e termina in una coda biforcuta.

John William Waterhouse A Mermaid 1892
Le Sirene greche però sono donne-uccello; al volto delicato di fanciulla e alla voce melodiosa e ammaliante, contrappongono un corpo di rapace, munito di ali e artigli.
La prima comparsa letteraria delle Sirene si deve ad Omero, nell'Odissea, (canto XIII vv. 39-54). Ulisse si appresta a salpare e Circe gli dà le opportune istruzioni di navigazione, soprattutto quelle per sopravvivere al canto fatale di queste creature.
https://www.bibliosalotto.it/l/le-sirene-numero-zero-quasi-unintroduzione/
Una antica versione fa risalire la loro origine al rapimento di Persefone da parte di Ade; quando questi la ghermì non erano state capaci di difenderla, allora la madre Demetra furiosa le trasformò in uccelli. Le sirene volarono via e, appollaiate su uno scoglio, si diedero ad insidiare i marinai di passaggio. Una variante narra che furono loro stesse a chiedere agli dei di dotarle di ali per poter cercare l'amica rapita anche sul mare.
(Ovidio, Metamorfosi) https://www.bibliosalotto.it/l/le-sirene-numero-zero-quasi-unintroduzione/
Una versione meno nota attribuisce ad Afrodite la loro metamorfosi, quale punizione per aver disobbedito al suo potere per conservare la propria verginità.

Sirena, particolare di un'anfora attica del V secolo a.C.
Donne-uccello o donne-pesce che siano, le Sirene sono creature legate all'acqua, forse perché la loro paternità viene attribuita al fiume Acheloo; l'abilità nel canto si deve invece alla Musa, loro madre, identificata secondo gli autori in Tersicore, Melpomene o Calliope. Per Omero le Sirene sono due, tre per gli autori successivi. Vari i loro nomi, i più noti: Partenope, viso di vergine; Leucosia, la bianca; Lighea, la canora. Le Sirene non erano immortali, secondo una profezia la morte sarebbe sopravvenuta se un marinaio fosse riuscito a sfuggire al loro incantesimo. Ciò accadde quando Odisseo, legato all'albero della nave, passò indenne oltre lo scoglio fatale: si uccisero gettandosi in mare. La scena è rappresentata su un vaso attico del 470 a.C.

La morte delle Sirene però è narrata anche in un altro mito.
Odisseo non era stato il solo a sottrarsi al malefico incantesimo, c'era stato anche l'argonauta Bute, che si era gettato in mare per raggiungerle e che fu salvato da Afrodite; la loro morte, per suicidio, però, avvenne quando Orfeo, suonando la sua cetra, le superò nel canto, permettendo così alla nave Argo di allontanarsi dal luogo fatale. Ammutolirono e, dopo aver scagliato gli strumenti della loro musica in mare, si gettarono tra le onde trasformandosi in rocce.
Circe, nel dare le istruzioni a Odisseo, (v. link supra) accenna ai corpi putrefatti e alle ossa sparse sul prato dell'isola, secondo una interpretazione, potrebbe essere il residuo di una tradizione più antica che vedeva nelle Sirene demoni volanti, accompagnatori delle anime agli Inferi.

Léon Belly Ulisse e le sirene 1867
In questo dipinto le sirene hanno perduto piume e coda rivelando tutta la loro sensualità
Ma in cosa consisteva il loro canto ammaliante e mortale? Era forse il potere ipnotico ed estatico della musica? Questa l'ipotesi primitiva, plausibilissima, ma ce n'è un'altra, frutto di una riflessione più raffinata e in qualche modo più filosofica.
Non è il potere melodioso e ipnotico del canto ad ammaliare i naviganti; le Sirene detengono il sapere, la tentazione cui sottopongono gli uomini è ben più pericolosa: è quella voler conoscere più cose. La stessa ambivalente aspirazione che Dante attribuirà al "suo" Ulisse facendogli oltrepassare quella foce stretta dov'Ercule segnò li suoi riguardi, ovvero lo stretto di Gibilterra, che nessuno aveva mai osato attraversare. Ben lo aveva compreso Cicerone:
Non con la soavità delle voci né con la novità e la varietà del canto pare che le sirene fossero solite trattenere quelli che navigavano nei dintorni, ma perché affermavano di conoscere molte cose, in tale modo che gli uomini per desiderio di sapere sbattevano contro le loro rocce. [...] Ben vide Omero che non poteva la mitica favola essere credibile, se un eroe come Ulisse da canzoncine fosse stato irretito. È la conoscenza che le sirene promettono, cosa che non era strano fosse più cara della patria a un uomo bramoso di sapere.
(M.T. Cicerone, De finibus bonorum et malorum , V, 18, 49) Citazione posta in esergo al primo capitolo del libro Il canto delle sirene di Maria Corti

La conoscenza è un valore ambiguo: è positiva aspirazione al sapere, tipicamente umana, ma è anche un aspetto di ciò che i Greci chiamavano hybris, la tracotanza, il peccato di orgoglio che sfida gli dei e porta alla rovina. Chi cede alle lusinghe della conoscenza sirenica si perde, allo stesso modo in cui l'Ulisse dantesco sparisce tra i flutti, e Adamo ed Eva vengono cacciati dall'Eden per aver mangiato il frutto della conoscenza.
Il mito non ha mai un significato univoco, la sua polisemia intrinseca fa sì che i suoi elementi possano essere diversamente interpretati. Il prato sul quale le Sirene attendono le vittime, ha anche una valenza sessuale; in diversi racconti mitici rappresenta il luogo di passaggio dallo stato adolescenziale e quello adulto, della maturità sessuale. Persefone è rapita da Ade mentre si trova su un prato, così Europa, che sta cogliendo fiori, da Zeus.
Quello delle Sirene è il luogo nel quale avviene la seduzione delle vittime, attraverso un'attrazione distruttiva, che le terrà lontane dalle spose e dai figlioletti. L'indipendenza delle sirene, che scelgono il partner sessuale, attirandolo col canto e la sensualità, sovverte l'ordine "corretto", nel quale è il maschio a "prendere", più o meno violentemente la compagna e a portarla con sé.
Il richiamo delle Sirene distoglie l'uomo, che cede, ignaro, alla tentazione, e lo tiene lontano dalla casa e dalla famiglia, dai suoi beni e dalla vita sociale: è la morte perché egli perde la sua identità, le sue prerogative di maschio, e il suo posto nel mondo. I cadaveri e le ossa sul prato hanno anche questo significato simbolico: la morte sociale. Odisseo, sulla via del ritorno, percorre una sorta di viaggio iniziatico per riprendere il suo ruolo identitario: come re di Itaca, marito, padre; deve affrontare il pericolo e il rischio di morte, rappresentato dalle Sirene, per esserne nuovamente degno. Se fallirà rimarrà per sempre condannato alla marginalità, prigioniero di un mondo di mostri.
Nell'introduzione si sono viste le moderne interpretazioni del canto ammaliatore offerte da due dei nostri migliori cantautori, Francesco De Gregori e Vinicio Capossela. Ma forse le Sirene non cantavano parole, la seduzione consisteva nella loro voce, misteriosa e ammaliatrice, in grado di far perdere il senno a chi le ascoltava. Nessuno può dirlo.
https://www.bibliosalotto.it/l/le-sirene-numero-zero-quasi-unintroduzione/

(Gralli)