Luigi Carrèr, chi era costui?

20.11.2025

Chi va in caccia di libri è come il cercatore d'oro che setaccia il fiume con la bateia. Questa è, una scodella larga, poco profonda, di forma conica che ricorda un po' il cappello cinese. Non è un setaccio come erroneamente si crede, è uno strumento, semplice, ma che richiede una grande abilità d'uso. Chi va alla ricerca dell'oro alluvionale raccoglie con la bateia una piccola quantità di sabbia dal fondo del fiume, poi ruotando destramente la scodella fa uscire l'acqua e la sabbia: se ha avuto fortuna troverà sul fondo il prezioso metallo, sotto forma di pagliuzze, o addirittura delle piccole pepite, l'abilità del cercatore sta nel non buttare l'oro con un movimento troppo brusco.

Questo è ciò che faccio pressoché ogni giorno, non con gli stivaloni, china sull'acqua a dragare il fondo di un fiume, ma comodamente seduta, davanti al PC, magari con una tazza di caffè, armata di mouse, vado pescando, in quel torbido e impetuoso fiume che è il web, alla ricerca delle mie rare e preziose pagliuzze, più pregiate dell'oro: libri. Questo fiume trasporta detriti di ogni sorta, alcuni facilmente individuabili, ma bisogna fare attenzione alla pirite, il cosiddetto oro degli sciocchi, che luccica, ma non vale nulla. Con un po' di attenzione e di esperienza si riesce a fare buona pesca.
Il mio recente ritrovamento, una purissima pepita, è questo autore: Luigi Carrer.

 Un Carneade, illustre, che le tecnologie digitali hanno ripescato dalle polverose biblioteche del passato, neppure troppo lontano, conservando e mettendo a disposizione le sue opere, numerose e ancora di un certo interesse. Uno studioso molto prolifico del Romanticismo italiano, dalle molteplici attività. Così la Treccani online.

Letterato (Venezia 1801 - ivi 1850); ingegno versatile, svolse intensa attività di critico e di poeta. Stabilitosi a Padova, attese a pubblicare classici, a tradurre, a comporre biografie e opere filosofiche varie. Passato nel 1832 a Venezia, vi collaborò a diverse imprese editoriali, e vi compilò (1833-43) il giornale Il Gondoliere. Contemporaneamente si dedicava alla poesia (Saggio di poesie, 1819; numerose altre raccolte e le Ballate, 1834, ecc.). In ambedue i campi manifestò nitore e scrupolo, un'intelligente individuazione di problemi critici e di situazioni poetiche.

Tutto è cominciato da una prima prima pagliuzza trovata in una libreria online, una breve riflessione in ebook, sul mito di Orfeo e Euridice; da qui la scoperta di un volumetto del Nostro, intitolato molto indicativamente Mitologia del secolo XIX, un florilegio di imprese mitologiche viste con gli occhi contemporanei, di allora. Una ulteriore prova della vitalità del mito e della sua capacità di suscitare riflessioni. Da questa raccolta, contenuta in Prose e poesie, (due volumi scaricabili da Internet Archive qui  https://archive.org/ ) ho estratto questo breve scritto su Orfeo. Lo commenterò, cercando di chiarire, laddove necessario, la prosa obsoleta, un po' ostica al lettore odierno, dell'autore.

Busto di Luigi Carrer, opera di Giuseppe Soranzo del 1877. 

Fu pur sciagurato quell'Orfeo, che dopo avere ottenuto, in premio dell'eccellente sua musica, che gli fosse restituita Euridice, per un impeto di desiderio intempestivo ebbe a perderla un'altra volta. Molti però sono gli Orfei, a' quali il dare un'occhiata all'indietro costa niente meno che la perdita d'ogni loro bene più desiderato.

Il desiderio intempestivo di Orfeo è stata la sua rovina, ma quanti hanno fatto come lui, perdendo un bene prezioso per essersi voltati indietro.

Figuratevi che in Euridice siavi l'immagine di quella felicità a cui tutti aneliamo, e che avrebbe secondo il vario gusto d'ogni uomo un nome diverso. Sia un tesoro da seppellire ove non v'abbia chi ci arrivi; sia il sorriso condiscendente della bellezza; o la sommità vertiginosa di un grado nella scala degli umani poteri; o un ramo d'alloro da morsicare a confronto di molte tribolazioni; qualunque in somma esser possa l'idolo delle vostre speranze sia da voi chiamato Euridice; e ognuno di voi si metta ne' panni di Orfeo, a cui vien detto di portarsene seco dalle caligini di Averno all'aria aperta la sua compagna, con questo di non volgersi mai a guardarla lungo il cammino.

Euridice diventa la metafora di ogni tipo di cosa grandemente desiderata: una qualche forma di felicità, diversa per ciascuno; un tesoro, quale che sia, una carica sociale ambita; un successo artistico e molto altro, e solo una prova, in fondo facile, da superare.

Forse che la modestia vostra vi toglie di credervi Orfei? Or vedete l'inconveniente modestia! Vi accerto che quando trattisi di far domanda ai numi del Cielo e dell'Averno di ciò che crediamo necessario alla nostra felicità siamo tutti, dal più al meno, abilissimi suonatori di lira, e tiriamo fuori una voce piena di forza e d'incredibile artifizio. Che trilli! che volatine! che increspamenti di note! Tutti i tuoni sono ai nostri servigi; ogni genere di musica fa per noi. I bassi e gli acuti, il grave e il vivace, lo spianato e il fiorito, li abbiamo tutti alla mano d'una maniera. Fate che quell'uomo, da cui non sapete cavare due parole in altri argomenti, vi parli dell'oltraggio ch'ebbe a patire, e del risarcimento che ne vuol trarre, e senza cui non sembragli di poter vivere: udrete nuova abbondanza di frasi e facilità di discorso. [...]

Oh, non facciamo i modesti! Quando desideriamo qualcosa che riteniamo essenziale alla nostra felicità, diventiamo tutti abilissimi suonatori di lira, e che musica sappiamo cavare dal nostro strumento,Che trilli! che volatine! che increspamenti di note! Degli autentici virtuosi! E tutti diventiamo campioni di eloquenza quando si tratta di ottenere qualcosa che ci spetta per innegabile diritto. La prosa desueta, antiquata, se solo le prestiamo un po' di attenzione, non fa che aumentare il piacere estetico di questa ironica descrizione di una frequente attitudine umana.

Mosaico Arte Romana III secolo

Or bene: le vostre parole furono tante e sì acconcie, che le indomabili divinità dell'Abisso acconsentono che vi sia data Euridice, a patto però che tiriate innanzi per la vostra strada, e non badiate a guardarvi alle spalle. Già l'avete a mano la donna desiderata, e la traete voi stessi dalle tenebre morte a respirare dell'aria di questo mondo. Che vuol dir ciò? Che quando abbiamo una meta, cui ci sta a cuore di toccare, egli è da tener sempre la mira rivolta a quella parte per cui siamo incamminati, senza mai dare passo addietro, checché si pensi o si imprenda da noi. A che pro il girarsi a guardare sul cammino che abbiamo di già fatto? Fosse almeno per trarne consigli per quello che ci rimane! Ma quanti sono che, arrestandosi a mezza via per guardare donde ei sono venuti, il facciano con questa intenzione, o traggano dal loro indugio un tale vantaggio? I più altro non fanno che numerare i passi spesi fino a quell'ora, e ne prendono sconforto; o se mirano pur in faccia quell'Euridice che hanno tra mano, e fu l'oggetto della loro discesa all'Averno, tuttoché divenuti pur possessori di essa, si trovano tanto nudi da portare invidia ad ogni altra sorte. Non ciò che avete fatto, ma ciò che a far vi rimane abbia i primi vostri pensieri; grida la ragione: ma i poveri Orfei dissennati non le danno retta, ed Euridice è loro tolta per sempre.

Gli dei hanno dato il loro consenso, siamo in un tratto avanzato del percorso: perché dunque voltarsi? A che pro il girarsi a guardare sul cammino che abbiamo di già fatto? Fosse almeno per trarne consigli per quello che ci rimane! Pochi lo fanno, i più si lasciano prendere dallo sconforto per ciò che resta da fare; o ancor peggio, nonostante abbiano quasi ottenuto la loro Euridice non sono contenti: si trovano tanto nudi da portare invidia ad ogni altra sorte. Il buon senso vorrebbe che si dovesse badare a ciò che ancora manca e concentrare gli sforzi, ma i poveri Orfei dissennati non le danno retta, ed Euridice è loro tolta per sempre.

Vi sembra di aver fatto oltre il debito vostro per potervi adagiare, e godervi in pace la mercede della vostra fatica, quando la misura del vostro sudore, non ch'essere colma, appena appena è giunta a riempiersi per metà. Oh vi credete che a toccare il sommo dell'eccellenza nell'arte cui professate vi debba bastare lo studio che ci avete posto? E perché gli applausi non vi succedono quali il cuor vostro, gonfio di ambizione, v'imprometteva fino dalle prime mosse, ficcate un paio d'occhi arrabbiati in volto alla bella larva che vi veniva compagna?
Bene sta; essa non vi sembra più quella, vi sfugge dai fianchi, dileguasi miseramente per l'aria. Ora fate soli il cammino che vi rimane. Non eravate giunti a tale da poter vederne la fronte, ma sapevate che ne veniva con voi, e precorrendo col guardo al cangiare dei passi, potevate adagiarvi in fantasia tra quell'ombre pacifiche di ulivi e di lauri ov'era il vostro riposo.

Il tono ha preso una piega morale: l'autore si rivolge a coloro che sono convinti di aver raggiunto l'eccellenza nella loro intrapresa, e constatano delusi il mancato plauso del mondo, che la loro ambizione, e supponenza, si attendeva; e allora ficcate un paio d'occhi arrabbiati in volto alla bella larva che vi veniva compagna, ovvero all'opera che ancora non è divenuta compiuta farfalla, ma che ancora necessita di impegno e lavoro. Ed è così che anche ciò che è già fatto si perde, Euridice svanisce. Ora questo novello Orfeo prosegue da solo, prima l'opera sua lo seguiva, e presto, con un poco di fatica ancora, il risultato sarebbe stato raggiunto, cammin facendo poteva pregustare con l'immaginazione la fine della fatica, e il compenso, quell'ombre pacifiche di ulivi e di lauri ov'era il vostro riposo.

Bene sta. E la fortuna, vedete, più inesorabile delle divinità infernali, si ride de' vostri richiami. Avete un bel modulare di voce, e un bel toccare di corde con essa: sonate e cantate ai sordi. Non c'è alcuno che abbia saputo insegnarci il tempo opportuno a farla ballare. A quanti che scoraggiati stanno lì sopra un sasso gridando: ho fatto questo e cotesto, tale e tal altro tempo ho impiegato senza profitto, ed ecco che io mi sono abbandonato della speranza; non si potrebbe rispondere: levati su, e tira innanzi; tanto che te ne stai a filare elegie il tempo passa ed Euridice ti scappa; non sei giusto estimatore delle cose e del tempo; che sai tu qual proporzione vi abbia tra la tua fatica e il premio che te ne sei ripromesso? Si parla ai sassi; e quelli che furono Orfei abilissimi a cantare la loro disdetta, e ad implorare misericordia, sono del pari Orfei malaccorti a non servare la condizione loro imposta per conquistare Euridice, e a guardarsi addietro.

Ora non vi è canto o musica che possa convincere le divinità infernali a restituire ciò che, per colpa, si è perso. Chi si è voltato a contemplare ciò che ha fatto senza valutare che non era sufficiente, che ci voleva tempo ancora, e lavoro, prima del premio ambito: non sei giusto estimatore delle cose e del tempo; che sai tu qual proporzione vi abbia tra la tua fatica e il premio che te ne sei ripromesso? Questi Orfei erano bravissimi a cantare le loro ambizioni, ma incapaci di perseverare per ottenere il risultato.

Catherine Adelaide Sparkes (1842-1910)  

Facciano ragione dalla buona ventura che incontra a taluno (ma ei sono pur pochi!), il quale non fu distratto nel suo cammino da cosa alcuna di questo mondo. Sorgeva coll'alba, e l'umido vespero il ritrovava per via. Provveduto di que' pochi pani che gli abbisognavano, il pellegrino solerte non indugiava l'andare per ostacolo alcuno che gli occorresse. V'avea torrente frammezzo? Il guatava, sapendo d'essere avviato per di là a questo fine. Era un monte di ripida e lunga salita? Si levava in coraggio a prenderne l'erta spedito, non ignorando che non vi avea altro modo di giugnere al termine del suo viaggio. Forse che la morte gli batteva alle spalle ch'egli aveva ancora la strada tra piedi; e allora? Crederete per questo più compassionevole la condizione di lui, che non sia quella de' poveretti che per inerzia si rimangono a sonnecchiare quando è tempo di trarre innanzi? La speranza, se non più, gli è bastata quanto la vita, e non avrete udito da esso alcuno di quei miseri lamenti che fannosi dalla più parte. Oimè me! Oimè lasso! Oh lunga via! Oh il penoso pellegrinaggio!

Il discorso si conclude con l'esempio di coloro che con perseveranza hanno superato gli ostacoli senza farsi distrarre dalle frivolezze del mondo, guadando fiumi e scalando simboliche montagne. Gli Orfei pigri se ne facciano una ragione.
Il mito di Orfeo, dunque, si presta anche ad un'altra interpretazione: nessuna indulgenza per il personaggio originale, che non ha mostrato forza d'animo; infatti Carrèr ne ha fatto il prototipo di colui che si arrende facilmente alla fatica richiesta al compimento di un'opera, quale essa sia, che vorrebbe il premio senza averlo meritato. Una concezione un po' moralistica forse, ma che non manca di verità, l'aspirazione al facile successo è sicuramente un vizio umano.

(continua)                                                                                                                                             Gralli

 Le puntate precedenti   https://www.bibliosalotto.it/orfeo/