L'Utopia è un Umanesimo 5

10.06.2025

Ancora qualche riflessione prima di lasciare l'isola di U-topia, anche se sappiamo che lei non lascerà mai noi.

Palmanova

Come modello di repubblica da imitare, la Città del Sole è un modello da non imitare» scriveva con insolenza Alberto Savinio presentando il celebre testo di Campanella. Era il 1944, e con La Città del Sole l'editore Colombo di Roma inaugurava – non a caso in un periodo di oscurità e barbarie – la Collana degli Utopisti diretta da Enrico Falqui e dallo stesso Savinio. (Dalla sinossi di La Città del Sole, sito di Adelphi)

Alberto Savinio scrisse anche la presentazione di Utopia di Tommaso Moro*, ora riunite in questo libriccino dall'insolita, elegante, veste tipografica: piccolo formato (9×12); copertina avorio, sottile rigatura in rilievo al tocco dei polpastrelli; incisione in bianco e nero al centro, delle dimensioni di un francobollo.
Felice scelta editoriale quella di riunire questi due brevi scritti, che hanno valore indipendente dal contesto in cui furono composti, e che possono considerarsi un unico saggio sulla natura dell'utopia, esaminata da una prospettiva nuova, e coraggiosa, sentitamente e autenticamente laica.
I progetti utopici si rendono possibili solo quando l'umanità si affranca dal divino, dalla nostalgia di un'età dell'oro collocata in un nebuloso passato, e dalla promessa di un regno ultraterreno. Le utopie sono progetti per realizzare la felicità, individuale e collettiva, nel mondo e nel tempo, attraverso organizzazioni sociali "orizzontali" in contrapposizione con la "verticalità" di quelle teocratiche, nelle quali le regole sono eteronome. Non a caso la più significativa e organica utopia, ante litteram, è la Repubblica di Platone; e la più importante in età moderna, divenuta antonomastica, quella di Tommaso Moro. La Grecia antica e il Rinascimento sono entrambe età della fioritura dell'Umanesimo, inteso come centralità dell'uomo, faber fortunae suae, nella prima di fatto, nel secondo anche di nome.

Fonte: bibliomanie.it

Il primo saggio, denso e conciso, dall'argomentazione stringente, contiene - suffragata da associazioni e rimandi metaforici e letterali - le idee portanti che definiscono la concezione dell'u-topia secondo l'autore.
Il secondo saggio è tipicamente saviniano: eccentrico, laterale, appassionato, azzardato, contraddittorio con le sue proprie idee. Provocatorio, soprattutto, ma così ambiguo, da insinuare nel lettore il dubbio che sia un gioco consapevole e, malizioso.
Savinio ha una sofferta ammirazione, una venerazione si potrebbe dire, per Tommaso Moro, figura complessa, di grande nobiltà, ma si ha la fondata impressione che voglia attribuirgli intenzioni che non ha mai avuto; e giustificare, arrampicandosi sugli specchi, alcuni atti che ne contraddicono la reputazione di tollerante.

Per certuni la tolleranza di Moro è smentita dalla sua adesione alla reazione cattolica, dal suo comportamento come cancelliere, dalle parole scritte nel suo epitaffio: Furibus, homicidis, haereticisque molestus. Che significa? Al tollerante Moro, il pericolo che minacciava la tolleranza doveva sembrare molto più grave da parte del violento e fanatico Lutero, che da parte della Chiesa di Roma.

Be', un po' tirato per i capelli. 

La-Taprobane di Tolomeo

Vediamo quest'altro passo.

Nello stesso capitolo dedicato alle religioni degli Utopiani, e a giustificazione della diversità dei culti in Utopia, è detto che questa diversità «è Dio stesso che la ispira, per ottenere riti svariati e molteplici». Avete capito? Dio diventa complice di se stesso, contro se stesso. C'è un tipo di spiritoso a freddo, che i Francesi chiamano "pince-sans-rire". Vogliamo mettere il grave Moro tra i "pince-sans-rire"?

Stimolante allusione all'ironia, al senso dell'umorismo moreano che facilmente si evince dal testo e dalla nomenclatura, e che rappresenta una forte tentazione ad arrischiare una eterodossa interpretazione dell'opera, sfidando le colonne d'Ercole poste da Umberto Eco in un suo celebre lavoro.

Il "prodigio" di queste poche paginette, visto il loro formato, è lo scaturire ruscellante di richiami, di collegamenti, a volte impetuosi e diretti, a volte disperdentesi in rivoli inaspettati, devianti dal corso principale in una vertigine ipertestuale. Perfettamente coerente con lo Stendhalismo di Savinio inteso come atteggiamento dilettantesco in senso proprio, come piacere disinteressato, privo di finalismo, asimbolico e fine a se stesso.

Da questa lettura ho scoperto di essere stendhalista, nei limiti delle mie scarse possibilità s'intende: molto più semplicemente ho sempre detto che se non mi diverto non gioco, e che, quando non costretta dalla dura necessità, quel che faccio lo faccio per amore.


*Ignoro quanti siano stati i titoli stampati in questa colllana e se Savinio abbia scritto altre prefazioni.


https://www.bibliosalotto.it/l/lutopia-e-un-umanesimo-1/

https://www.bibliosalotto.it/l/lutopia-e-un-umanesimo-2/

https://www.bibliosalotto.it/l/lutopia-e-un-umanesimo-3/

https://www.bibliosalotto.it/l/lutopia-e-un-umanesimo-4/

https://www.bibliosalotto.it/l/lisola-non-trovata/

https://www.bibliosalotto.it/l/don-chisciotte-siamo-noi/

                                                                                                                                                                                                                                                                     (Gralli)