Mademoiselle Barbette (da Passatempi di Paul Léautaud)

Mademoiselle Barbette
Le mie storie di bestie, a quanto pare, non piacciono a certi lettori? Eccone un'altra. Vi presento Barbette, una barboncina, come il nome stesso indica, nera, con le zampe bianche. L'ho trovata un giorno di gennaio del 1924, sotto la volta del Carrousel, di faccia al pont des Saints-Pères. Se ne stava lí, seduta, coperta di fango, con una funicella al collo, con l'aria di non essere di nessuno. Andavo al Ministero degli Esteri. Ho rimandato a un altro giorno. Mi sono avvicinato a Barbette che era ancora per me una povera bestia senza nome, le ho dato dello zucchero, le ho parlato con gentilezza, l'ho attirata un po' in disparte. Cinque minuti dopo, le avevo passato un laccio attorno al collo e la portavo via. Somigliava tanto al mio primo cane, il barboncino Ami, trovato quasi nelle stesse circostanze, che decisi di tenerla. La sera stessa, faceva il suo ingresso in casa mia, nel mio studio, e si insediava in un'ampia poltrona che, d'allora in poi, le appartiene. Può vantarsi d'avermi dato preoccupazioni poco dopo che l'avevo adottata. Era con me da una settimana, quando la domestica se la lascia scappare da una fessura del recinto del giardino. Quando torno a casa la sera, Barbette non c'è più. Già io la vedevo, nonostante le mie ricerche, su un tavolo di vivisezione, fra le mani di sinistri maniaci, in un laboratorio di fisiologia. Per fortuna, ho scritto due volte il mio nome e il mio indirizzo sul collare. Tre giorni dopo, mi arriva una lettera. Qualcuno, dietro la stazione della Bastille, l'ha trovata e presa con sé, proprio nel momento in cui un agente stava per «imbarcarla», e vengo avvertito del ritrovamento. Salto in una carrozza.
Arrivo in una abitazione di operai, salgo una scala quanto mai ripida, e, al quinto piano, dopo aver camminato a tastoni e chiamato, entro in una stanza dove vive una intera famiglia. Barbette è lí, sul pavimento, che fa delle moine, circondata da quattro marmocchi che la tengono per il collo, mentre la madre dei piccoli, a letto, dà il seno al quinto. Ho lasciato quanto basta perché questa turba di bambini possa comprarsi una bella leccornia, ho detto com'ero felice di trovare delle persone che s'interessano alle bestie e me ne sono andato a piedi fino alla stazione con la piccola fuggiasca, lei che sgambettava, io già consolato del gran dolore di averla perduta. La sera stessa riprendeva possesso della casa, dello studio e della poltrona. Per tre mesi non ho scritto niente, dedito com'ero al piacere di passar le serate a occuparmi di lei. Una certa signora mi ha fatto delle violente scenate di gelosia poiché, per quest'altra bestia, «disertavo il suo talamo». Barbette, che al mercato dei cani non costerebbe neppure venti franchi, ha i piú begli occhi del mondo, intendo del mondo dei cani. La sera, mentre leggo, scrivo o sogno, lei scende dalla poltrona e, con un balzo, sale su un tavolinetto accanto al mio scrittoio e resta lí a guardarmi, a tenermi compagnia. Sono turbato, e commosso, come spesso mi accade nei confronti delle bestie, quando vedo quello sguardo fisso su di me, pieno di cose inespresse. Barbette non ha piú nessuna voglia di andarsene via, ne sono certo. La casa è piena di amici: i gatti, gli altri cani, ed è piacevole avere un grande giardino per correre, invece delle odiose strade di Parigi. Dopo due giorni che non mi vede, cosa che a volte capita, fa gran balzi di gioia, quando arrivo, alti un metro. Sul vecchio comò, accanto a pile di libri, c'è una scatola di dolci per lei. Se me ne dimentico, mi richiama garbatamente all'ordine, rizzandosi in piedi contro il comò, venendo alla mia poltrona a distogliermi dal lavoro, tornando a rizzarsi contro il comò. I primi tempi sono stati abbastanza difficili. Barbette era molto giovane: non aveva neppure un anno. Divorava ogni cosa. La sera, quando rientravo, trovavo le mie carte per terra, in briciole. Ho cercato negli angoli piú riposti qualcosa che potesse appagare senza mio danno. Ho trovato le Ballades di Paul Fort, dieci, quindici, venti volumi, anche di piú! e numerosi opuscoli: è nota l'abbondanza dell'opera di questo grande poeta. Tutto questo l'ho dato a Barbette, un volume o un opuscolo al giorno, oppure ogni due giorni, a seconda della sua voracità. Ne è stata deliziata. Non ne è rimasto nemmeno un foglio. Raramente si è vista un'opera letteraria apprezzata fino a questo punto.

Uno scrittore, e un uomo, così poco compiacente, scostante, antipatico, irritante, - e l'incipit di questo bozzetto ne è una prova - amava teneramente gli animali, quelli abbandonati e maltrattati, abitavano con lui con lui a decine.
(Gralli)