Senza Babbo Dickens, il Natale che Natale è?

01.12.2025

 Però dobbiamo guardare un po' oltre il solito Canto di Natale (che non manca in questa raccolta, per non scontentare i fan), troveremo racconti meno noti, ma ugualmente suggestivi: Le campane, Il grillo del focolare, La battaglia della vita, Il patto col fantasma.
Notissima la storia del ricco e avaro Scrooge che viene visitato dai tre Spiriti del Natale, passato, presente e futuro, che gli mostrano la sua squallida vita e l'ancor più triste sua morte, per convincerlo a cambiar vita.
Meno conosciuta la storia di Le campane, anche qui abbiamo una sorta di fantasmatico viaggio nel tempo del protagonista, che vedrà la sua vita passata e futura, ma che si concluderà con un lieto fine, un po' patetico, non privo tuttavia di umorismo.
Il grillo del focolare è parlante, ben più simpatico di quello di Pinocchio, e dà buoni consigli al protagonista; un romanzo brevissimo, ma ricco di colpi di scena.
La battaglia della vita, romanzo breve, ma dalla trama intricata, un feuilleton con le carte in regola, da leggere con un po' di distacco ironico.
Il patto col fantasma, il fantasma del titolo concede ad un uomo la facoltà di cancellare il proprio passato e di trasmettere lo stesso dono ad altri, ma c'è qualcuno il cui passato è così limpido da non aver nulla da dimenticare e…

Charles Dickens, caricatura realizata da Luis Carreño.

Qualche assaggio

Lo spettro di Marley 

Marley era morto, tanto per incominciare, e su questo non c'è alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal sacerdote, dal chierico, dall'impresario delle pompe funebri e da colui che conduceva il funerale.
Scrooge lo aveva firmato, e alla Borsa il nome di Scrooge era buono per qualsiasi cosa che decidesse di firmare. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta.
Badate bene che con questo io non intendo dire che so di mia propria scienza che cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di una porta; personalmente, anzi, propenderei piuttosto a considerare il chiodo di una bara come il pezzo di ferraglia più morto che si possa trovare in commercio. Ma in quella similitudine c'è la saggezza dei nostri antenati, e le mie mani inesperte non la disturberanno, altrimenti il paese andrà in rovina. Vogliate pertanto permettermi di ripetere con la massima enfasi che Marley era morto come il chiodo di una porta.
Scrooge sapeva che era morto? Senza dubbio; come avrebbe potuto essere altrimenti? Scrooge e lui erano stati soci per non so quanti anni; Scrooge era il suo unico esecutore testamentario, il suo unico procuratore, il suo unico amministratore, il suo unico erede, il suo unico amico e l'unico che ne portasse il lutto; e neanche Scrooge era così terribilmente sconvolto da quel doloroso avvenimento da non rimanere un eccellente uomo di affari anche nel giorno stesso del funerale e da non averlo solennizzato con un affare inatteso e particolarmente buono.
Menzionare il funerale di Marley mi ha ricondotto al punto dal quale ero partito. Non c'è alcun dubbio che Marley era morto. Questo dev'essere perfettamente chiaro; altrimenti nulla di meraviglioso potrà uscire dalla storia che sto per narrare. Se non fossimo perfettamente convinti che il padre di Amleto era morto prima che cominciasse la tragedia, nel fatto che egli passeggiasse di notte, al vento di levante, sui bastioni del proprio castello non ci sarebbe niente di più notevole di quello che ci sarebbe se qualunque altro signore di mezza età uscisse all'improvviso, dopo il tramonto, in una località battuta dal vento - diciamo, per esempio, nel cimitero di St. Paul - per impressionare la mente debole di suo figlio.
Scrooge non aveva mai cancellato il nome del vecchio Marley. Anche dopo qualche anno si poteva leggerlo sopra la porta del magazzino: Scrooge e Marley. La ditta era conosciuta come - Scrooge e Marley - . A volte persone nuove degli affari chiamavano Scrooge Scrooge e a volte lo chiamavano Marley, ma egli rispondeva ad ambedue i nomi. Per lui era perfettamente lo stesso.
Oh! ma Scrooge era un uomo che aveva la mano pesante; duro e aspro, come la cote, dalla quale non c'era acciaio che fosse mai riuscito a far sprizzare una scintilla di fuoco generoso; segreto, chiuso in se stesso e solitario come un'ostrica. Il freddo che aveva dentro congelava i suoi vecchi lineamenti, gli pungeva il naso aguzzo, gli corrugava le guance, irrigidiva la sua andatura; gli faceva diventar rossi gli occhi e violacee le labbra sottili e si esprimeva tagliente nella sua voce gutturale. Sulla testa, sulle ciglia e sul mento peloso c'era uno strato di ghiaccio. Si portava sempre dietro la sua bassa temperatura; gelava l'ufficio nei giorni della canicola e non lo sgelava neppure di un grado a Natale.
Il caldo e il freddo esterni avevano scarsa influenza su Scrooge; nessun calore poteva riscaldarlo e nessuna brezza invernale raffreddarlo. Non poteva soffiare un vento che fosse più aspro di lui, non poteva cadere neve che fosse più determinata, non c'era pioggia scrosciante che fosse meno disponibile. Il cattivo tempo non aveva presa su lui. La pioggia più fitta, la neve, la grandine e il nevischio potevano vantare una sola superiorità nei suoi confronti, e cioè che spesso venivano giù non senza bellezza. Scrooge mai.
Nessuno lo fermava mai per strada per dirgli, con una espressione gioviale: - Mio caro Scrooge, come state; quando verrete a trovarmi? - . Non c'era mendicante che lo implorasse di dargli un centesimo, non c'era bambino che gli chiedesse l'ora, non c'era uomo o donna che chiedesse mai a Scrooge, nemmeno una volta in vita sua, la strada per andare in questo o quel posto. Perfino i cani dei ciechi sembrava che lo conoscessero e, quando lo vedevano arrivare, trascinavano i loro padroni dentro un portone o un cortile e poi agitavano la coda, come per dire: - Caro padrone, è meglio non aver occhi che avere il malocchio. (Canto di Natale)

Il grillo del focolare

Io non so da dove fosse venuto fuori il bambino né in che modo la signora Peerybingle abbia potuto impadronirsene in quel baleno di tempo: ma so che nelle braccia della signora Peerybingle c'era un bambino vivo, ed essa sembrava provarne un considerevole orgoglio, quando venne attirata gentilmente verso il fuoco dalla robusta figura di un uomo, molto più grande e molto più vecchio di lei, il quale per baciarla dovette piegarsi assai profondamente. Ma la cosa valeva la pena. Sarebbe stato capace di farlo anche un uomo di più di due metri, e con la lombaggine.
- Mio Dio, John - , disse la signora Peerybingle, - in che stato sei con questo tempo!
Era indiscutibilmente in uno stato piuttosto deplorevole. La nebbia fitta gli era rimasta appesa in ghiaccioli sulle ciglia, simile ad una rugiada candita. E per l'azione combinata della nebbia e del fuoco, perfino nei suoi baffi c'era l'arcobaleno.
- Ah sì, Dot - , - rispose John lentamente, sciogliendosi dal collo uno scialle e riscaldandosi le mani. - Non. non è proprio un tempo da estate. Quindi non c'è da meravigliarsi.
- John, vorrei che tu non mi chiamassi Dot. Non mi piace - , disse la signora Peerybingle, con una piccola smorfia, la quale dimostrava chiaramente che la cosa le piaceva moltissimo.
- E che altro sei tu? - , replicò John, guardando in giù verso di lei con un sorriso e stringendola alla vita con quella leggerezza che permettevano la sua mano e il suo braccio enorme.- Un puntolino, e… - , e qui diede un'occhiata al bambino.
- Non voglio dirlo per paura di sciupar tutto, ma sono stato a un pelo dal dire una facezia. Non credo di esser mai stato tanto vicino a dirne una.

Questo grave, lento, onesto John andava spesso a un pelo da questa o quella cosa molto importante; questo John, così pesante, ma così leggero di spirito; così rude esteriormente, ma così vivace internamente; così lento, ma così buono! 

Francis Donkin Bedford, Illustrazione per Il grillo del focolare 

Le campane

Tremenda voce ha il vento quando canta a mezzanotte in una chiesa!
Ma lassù nella guglia, là quel soffio terribile mugge e sibila. E in cima alla guglia, là dove è libero di entrare e uscire attraverso molte arcate e molte aperture e di contorcersi intorno alla scala malsicura e di far girare la banderuola lamentosa e di far tremare e rabbrividire la torre stessa! In cima alla guglia, là dove sono le campane e le sbarre di ferro sono rose dalla ruggine e le coperture di piombo e di rame corrugate dall'azione delle intemperie scricchiolano e si sollevano sotto quel peso insolito e gli uccelli fanno miseri nidi negli angoli di vecchie travi di quercia e la polvere si fa vecchia e grigia e ragni chiazzati, resi indolenti e grassi dalla lunga incolumità, si dondolano oziosamente in qua e in là alla vibrazione delle campane senza mai perdere la presa sui loro castelli in aria fatti di filo, oppure si arrampicano come marinai se c'è un allarme improvviso o si lasciano cadere sul pavimento invocando una ventina di agili gambe per aver salva la vita! In cima alla guglia di una vecchia chiesa, molto al di sopra di luci e mormorii della città e molto al di sotto delle nubi fluttuanti che le fanno ombra, è il posto sinistro e pauroso di notte; e in cima alla guglia d'una vecchia chiesa stavano le campane di cui voglio raccontarvi.
Erano vecchie campane, credete. Secoli fa quelle campane erano state battezzate da vescovi; talmente tanti secoli fa, che il registro del battesimo è andato perduto molto, molto tempo prima di qualsiasi memoria d'uomo e nessuno ne conosce i nomi. Avevano avuto padrini e madrine quelle campane - e per parte mia, sia detto tra parentesi, preferirei assumermi la responsabilità di essere padrino di una campana piuttosto che d'un ragazzo - e avevano avuto senza dubbio anche le loro coppe d'argento. Ma il tempo ne aveva falciato i padrini ed Enrico VIII ne aveva fuso le coppe; ora pendevano senza nome e senza argento nella torre della chiesa.
Non però senza parola. Al contrario, avevano una voce chiara, robusta, allegra, sonante quelle campane, e si facevano sentire col vento a grande distanza. Per di più erano campane troppo ostinate per dipendere dal piacere del vento, giacché combattendo valorosamente contro di lui quando si lasciava prendere da un capriccio contrario versavano con prodigalità regale le loro note gioiose negli orecchi in ascolto; ed essendo decise a farsi sentire in una notte burrascosa da qualche povera madre che vegliava un bambino ammalato o da qualche moglie solitaria il cui marito era in mare, si erano fatte la reputazione di esser capaci a volte di battere anche il più violento dei venti di nord¬ovest; sì, - gagliarde - , diceva Toby Veck; - anche se la gente lo chiamava Trotty Veck, il suo vero nome era Toby e nessuno avrebbe potuto cambiarlo con un altro tranne quello di Tobia senza una legge speciale del Parlamento, giacché era stato battezzato altrettanto legalmente al tempo suo quanto lo erano state le campane al loro, per quanto con molto meno solennità e molto meno allegrezza pubblica.

Gli spiriti delle campane  Illustazione per il racconto di Dickens Scuola inglese 1845

Se questi assaggi vi hanno stuzzicato l'appetito, cercate il libro, ce ne sono varie edizioni.

Gralli