Elogio di niente

19.02.2025

Forse non ci avete mai pensato, neppure io prima della lettura di questo prezioso libriccino, ma NIENTE è una parola magica: definisce ciò che non è, ma nel momento in cui lo fa crea qualcosa, anzi un mondo intero.
È quanto dimostra Louis Coquelet (1676-1754), misconosciuto scrittore francese, in questo paradossale testo che in poco più di cinquanta pagine dal NIENTE fa scaturire, con felice leggerezza e ironia, un trattato di logica, di linguistica, di morale, di satira, dimostrando che si può far filosofia (già il libro è anche questo) non solo senza annoiare, ma divertendo chi legge. Pochissimi eletti lo sanno fare: coloro che, possedendo le chiavi segrete che aprono lo scrigno del linguaggio, portano alla luce i suoi misteriosi legami, caleidoscopici e cangianti, col pensiero profondo, essenza stessa del nostro esse
re umani.

Sfogliando il libro

Non soltanto sostengo che Niente è un argomento di gran lunga migliore di tutto quanto si continua a dire e a scrivere, ma dichiaro addirittura che Niente, di per sé, è degno di ogni lode, e che non bisogna mai dimenticare Niente, quando si tratta di rendere onore al merito e alla virtù.
Anzitutto, se fate attenzione all'antichità di Niente, sapreste dirmi chi o cosa, escludendo il solo Essere Supremo, è più antico di Niente? Si potrebbe addirittura affermare, senza timore di essere blasfemi, che Niente è più antico dello stesso Essere Supremo: cosa esisteva, infatti, prima che fossero creati gli angeli e il mondo? Niente. E che ne è stato, con Dio, di tutta l'eternità? Niente. Tutto è iniziato da Niente e mai Niente ha avuto inizio. Se consideriamo l'eccellenza di Niente, essa è davvero degna di ammirazione; Niente può definirsi soltanto da sé, proprio come la Divinità. Cos'è, infatti, Niente? Niente. Niente è tanto grande, incommensurabile, quanto la Divinità; Niente si estende oltre ogni cosa. Niente è immutabile e indivisibile. Non sarebbe possibile accrescerlo né ridurlo. Provate a sommare Niente a Niente, otterrete Niente. Sottraete Niente da Niente, otterrete Niente. Niente non deriva da Nessuno, e tutto quello che osserviamo nella natura deriva da Niente. 

Il famoso Valentino, Cesare Borgia, non conosceva via di mezzo tra l'essere Cesare e Niente. «O Cesare o Niente» diceva. «Aut Caesar aut Nihil» era il suo motto: il fatto è che i grandi uomini vogliono sempre avere tutto o Niente. Tutte le cose di questo mondo se ne vanno e si riducono a Niente. Ovunque, in questo mondo, ci si nutre di Niente e su Niente ci si fissa.
Si litiga per Niente, per Niente si intentano cause, per Niente si combattono guerre e ci si uccide. Il solo risultato che gli uomini ottengono da tutte le loro inquietudini e dai loro sforzi è la vergogna di essere stati vittime di Niente. È l'inizio, la continuazione e la fine di tutte le nostre vanità. È sempre costante, sempre uniforme, sempre se stesso; riempie l'animo e il cuore senza riempirli, li occupa senza occuparli; la sua sterilità è feconda e la sua fecondità è sterile. 

Niente è un potente stregone, che si mostra ai ciechi e si fa intendere dai sordi: cosa vedono, infatti, i ciechi, e cosa odono i sordi? Niente. Cosa dicono i muti, cosa sentono quanti sono privi di olfatto? Niente. Un Niente è stato spesso all'origine delle più grandi imprese, e a Niente hanno spesso portato i progetti più straordinari. Illustri assemblee sono state spesso convocate per Niente, e Niente è stato il loro risultato definitivo. Quante volte abbiamo visto uomini insigni privati per un Niente dei loro impieghi, e sostituiti da altri che valevano meno che Niente. 

Qualche riflessione

Molti passi del testo sono in verità delle trappole logico-linguistiche, dello stesso tipo di quella che Odisseo ha teso all'ingenuo bruto Polifemo dicendogli di chiamarsi Nessuno. Un uso della parola che solo una scaltrita mente filosofica può praticare, prevedendo le conseguenze. Se solo i rudi, ottusi compagni del ciclope avessero chiesto " come si chiama colui che ti ha fatto questo?" e non "chi ti ha fatto questo?" la faccenda, forse, poteva prendere un'altra piega, chissà.
Odisseo era consapevole del vuoto del suo fittizio nome, un nome appunto che non rimanda a…nessun uomo. L'errore di Polifemo è stato quello di dare corpo al vuoto, di non aver saputo distinguere fra senso e riferimento.

Anche il dedicatario dell'opera è Nessuno, la regola del gioco è la stessa, se i rispettabili Censori Ordinari delle opere altrui sapessero che proprio nei confronti di Nessuno io devo sentirmi in obbligo, forse non sarebbero così sorpresi della mia dedica. Chiaro no?
E ancora:
[...] a Parigi, capitale della confusione e del disordine, volete sapere chi è venuto a farmi visita e a offrirmi i propri servizi? Nessuno. Siete curiosi di sapere chi mi ha consolato nei momenti di dolore morale o di sofferenze fisiche? Nessuno. Chi mi ha soccorso nel bisogno? Nessuno. E chi mi ha invitato alla propria mensa o prestato denaro? Nessuno. A chi deve andare, dunque, secondo voi, la mia riconoscenza, se non a Nessuno?
In realtà il Nessuno di Polifemo è qualcuno, mentre il dedicatario è... nessuno.
Questo libro mi farà impazzire!