Giuseppe Gioachino Belli, questo sconosciuto
Di Giuseppe Giochino Belli la nostra autorevole rivista virtuale si è già più volte occupata… Vedi ad esempio:
https://www.bibliosalotto.it/l/i-sonetti-del-belli-babele-poetica-2/
Oggi il vostro servizievole Tarlo vi propone un Belli sconosciuto a tutti, tranne agli studiosi, ai cultori e ad alcuni ossessivi roditori di internet: un Belli in italiano. Giuseppe Gioachino Belli ha a lungo subito il pregiudizio di aver scritto in dialetto, considerato a torto una espressione letteraria inferiore. In realtà la poesia romanesca del Belli rappresenta un'opera tra le più importanti nella storia della letteratura italiana; la sua umana commedia è paragonabile a quella Divina di Dante. Già nel 1981 una critica raffinata e curiosa come Laura Lombardo Radice scriveva: Una volta i professori dicevano che tutto si può trovare in Dante; tutto certamente si può trovare nel Belli romanesco, nelle mille voci di sudditi della Roma papalina che parlano nei Sonetti romaneschi. Altri studiosi lo hanno paragonato a Manzoni, a Verga, a Leopardi. Il fatto curioso è che mentre il Belli in romanesco è uno scrittore straordinario, quello che scrive in italiano sembra un'altra persona, un gemello non solo molto meno dotato ma meno profondo, meno inquieto, meno anticonformista, in sintesi: meno "poeta".

Certo, a volte, qualche verso divertente riesce anche al gemello diversamente abile:
Il saggio del marchesino Eufemio
A di trenta settembre il marchesino,
D'alto ingegno perchè d'alto lignaggio,
Diè nel castello avito il suo gran saggio
Di toscan, di francese e di latino.
Ritto all'ombra feudal d'un baldacchino,
Con ferma voce e signoril coraggio,
Senza libri provò che paggio e maggio
Scrivonsi con due g come cugino.
Quinci, passando al gallico idioma,
Fe' noto che jambon vuol dir prosciutto,
E Rome è una città simile a Roma.
E finalmente il marchesino Eufemio
Latinizzando esercito distrutto
Disse exercitus lardi, ed ebbe il premio.
22 luglio 1845
Il fummatore
Ma, per amor del ciel, dimmi, o figliolo,
In qual nuova anfania sei tu venuto
Che un sigaro t'imbecchi ogni minuto
Sino a parerne un tizzo o un fummaiuolo!
Tu?! così mingherlino e tristanzuolo,
Sparutel, segaligno e lanternuto,
Che se ti soffia addosso uno starnuto
Te ne voli in Sicilia o nel Tirolo!
Deh al tuo petto sottil non crescer danno,
Nè ridurti la bocca un letamaio
Sol per far quello che cert'altri fanno.
E la morte che paghi al tabaccaio,
Folle, cangiala in libri, e ti daranno
Viver più lungo ed onorato e gaio.

La statua di Giuseppe Gioachino Belli a Trastevere
I migliori risultati, anche in italiano, Belli li ottiene quando s'intrattiene sul tema dell'esistenza, come in questa lettera scritta l'8 giugno 1830 all'amica Vincenza Roberti. Il poeta non aveva ancora 39 anni:
La vita umana, oltrepassato appena il suo mezzo, non si compone più che di reminiscenze: le speranze e i progetti periscono in un fascio, appena la mano fredda del tempo vi addita la tardità di ogni nuova intrapresa. Senz'altro avvenire che di un dolore esasperato ogni di più dalla idea della distruzione che si avvicina, la virilità precipita nella vecchiezza: e guai, guai a que' vecchi che non si saranno preparati di buon'ora una riserva di conforto! Schivati nell'universo, espulsi dirò quasi dal posto che occupavano nella società, costretti di cedere vigore, bellezza, salute, carezze a chi gl'incalza senza posa alcuna, essi rivolgonsi indietro aridi e afflitti spettatori degli altrui godimenti, a cui più non è loro lecito di aspirare. La gioventù, oltre all'allegrezza sua propria, può trovare dei piaceri dovunque, e sino negli stessi difetti degli uomini; ma la vecchiezza non può rifugiarsi che nelle loro scarse virtù. Al giovane è sempre aperto il gran teatro delle illusioni, a traverso alle quali i contemporanei si offrono a lui: ma pel vecchio non rimangono che le risorse della realtà, quasi tutte purtroppo dure e desolanti.
Gli stessi argomenti ritornano nel disincantato sonetto Mia Vita, scritto il 30 settembre 1857, pochi giorni dopo aver compiuto sessantasei anni:
Certo è ch'io nacqui, e con un bel vagito
Salutai 'l mondo e il mondo non rispose:
Andai a scuola, studiai molte cose,
E crebbi un ciuco calzato e vestito.
Una donna mi tolse per marito,
Scrissi versi a barella e alcune prose:
Del resto, come il ciel di me dispose,
Ebbi sete, ebbi sonno, ebbi appetito.
Stetti molti anni fra gl'impieghi assorto
E fin che non disparver dalla scena
Amai gli amici e ne trovai conforto.
Oggi son vecchio e mi strascino appena:
Poi fra non troppi dì che sarò morto
Dirà il mondo: oh reo caso! andiamo a cena.
DrRestless (Roberto Gerbi)

Le Poesie inedite di Giuseppe Gioachino Belli, insieme ai Sonetti romaneschi e molto altro materiale sono gratuitamente reperibili qui:
https://archive.org/search?query=giuseppe+gioachino+belli
Le Lettere e le Lettere a Cencia, si possono liberamente scaricare qui:
https://liberliber.it/autori/autori-b/giuseppe-gioachino-belli/
P.S. Per chi avesse il desiderio di leggere ancora una poesia e non sentisse l'irrefrenabile impulso di compulsare i quattro volumi delle Poesie inedite, il vostro Tarlo vi propone ancora:
Natura sequax
Al Signore Avv. Pietro Merolli
Presidente de' Tiberini nel 1854
Tutto, o Pietro, quaggiù senza mai triegua
Si fa seguitator di qualche cosa,
Nè alcun seguito è pur c'altri non segua.
La farfalla vediam seguir la rosa,
Seguir le schiere i lor vessilli in guerra,
Ed il marito suo seguir la sposa.
Segue la morte i vivi, e mai non erra:
Segue la terra il circolar del sole,
E la luna così quel della terra.
Il putto e il lasagnon seguon le fole:
Corre sempre l'inutil pentimento
Dietro alle troppo facili parole.
Vigil segue il ladron l'oro e l'argento:
Il cortegian la ruota di fortuna,
E là si volge dove spira il vento.
Seguon le pecorelle ad una ad ana
Il mannerin col campanuzzo innanzi,
E il pastor segue il gregge e lo raduna.
Seguono i parassiti i ghiotti pranzi,
I legulei la borsa de' clienti,
E gli avari le usure ed i civanzi.
E al modo che il ventun va appresso al venti
Il creditor va appresso al debitore
Con minacce frammiste a complimenti.
Per colti e prata il can del cacciatore
Segue la lepre, e quello segue il cane
Come segue un suggetto il superiore.
Segue ogni merce ogni valor del pane:
La stolta vanità segue la loda:
Segue il rossor le debolezze umane.
La lieve gioventù segue la moda;
E spesso, per un fato che ci opprime,
Il capo a' nostri dì segue la coda.
E noi poeti? Sulle aonie cime,
Trattivi come uccel per suo richiamo,
Cerchiam sovente e seguitiam le rime,
E purtroppo talor non le troviamo.
7 maggio 1854