Gli avatar di Vishnū 3

19.04.2025

Dopo esserci presi una breve pausa, con una escursione nella Lucca più oscura, terminiamo la descrizione delle vicende dei Dashavatara, i dieci principali avatar di Vishnū. 

Buddha (XVII sec.) 

9) Buddha 

 Buddha, cioè "il risvegliato" o "l'illuminato", è il più controverso tra gli avatar del dio. Molti tra gli induisti più integralisti negano che l'avatar chiamato Buddha sia lo stesso Siddartha Gautama che ha fondato il buddhismo, oppure lo sostituiscono, nel novero dei dieci principali avatar, con Balarāma, il fratello maggiore di Krishna. Il problema è che l'insegnamento di Buddha si scosta dalla ricerca della comprensione del cosmo tipica dell'induismo ma, soprattutto, sostituisce gli atti rituali con i valori morali che attribuiscono così all'individuo un'importanza che, per gli induisti dogmatici, è assurda. La sua teoria del bene e del male è ritenuta arbitraria, un falso insegnamento utile solo a illudere chi già merita una punizione per le proprie cattive azioni. Queste persone abbandonano i Veda e l'Induismo tradizionale, guadagnandosi la punizione all'inferno o nascite inferiori. Solo in alcuni testi più recenti, l'avatar di Vishnū come Buddha è interpretato positivamente e vi si afferma che abbia assunto questo aspetto per insegnare al mondo la nonviolenza e la gentilezza. Perché Buddha è stato assunto tra gli avatar di Vishnū nonostante sia così problematico per un induista "ortodosso"? Un grande studioso della materia come John Dowson afferma che il grande successo di Buddha come maestro religioso sembra aver indotto i brahmani a includerlo fra i propri, invece che riconoscerlo come avversario. (A Classical Dictionary of Hindu Mythology and Religion, 1888). L'eretico Buddha fu così situato tra le grandi incarnazioni di Vishnū, seppur limitandolo nella venerazione, poiché il popolo lo voleva e le ragioni del popolo, si sa, sono sempre sacre. (Angelo Morretta, I miti indiani) Buddha, come avatar di Vishnū perde le sue qualità di grande rivoluzionario e fondatore di una nuova religione. In realtà egli predica la rinuncia e il Nirvana, invita a non credere nei Veda, nelle caste e negli insegnamenti dei Brahmani, decaduti e ormai ossessivamente dogmatici; ha il coraggio di affermare che gli dèi non esistono, che il Trimundio è una parola vuota di senso, e infine consiglia di guardare in faccia il dolore e offre, come solo rimedio, il distacco assoluto tramite la conoscenza di sé stessi e del mondo. 

Nascita di Buddha (Gandhara, II sec. d.C.) 

La vita di Buddha è raccontata in molti testi, sia induisti che buddhisti; il più importante è il Buddhacarita, Le gesta di Buddha, scritto nel II sec. d.C. da Aśvaghosa, un brahmano convertito al buddhismo, di cui è considerato il più grande poeta. Colui che diventerà Buddha, detto anche Sākyamuni ("l'asceta o il saggio della famiglia Śākya"), nacque a Lumbini ("l'incantevole"), oggi in Nepal, nel 566 a.C. Alla nascita ricevette il nome di Siddharta ("colui che ha raggiunto lo scopo") Gautama. I Sākya ("potenti") erano una famiglia di stirpe guerriera e il padre di Siddartha, il rāja Suddhodana ("puro nutrimento"), regnava su uno dei numerosi stati in cui era a quel tempo divisa l'India settentrionale. La madre, Māyā ("illusione"), è descritta di grande bellezza. Suddhodana e Māyā erano sposati da molti anni e non avevano avuto figli. Māyā sognò che un elefante bianco le penetrava nel fianco senza provocare alcun dolore e ricevette nel grembo Siddharta, "senza alcuna impurità". Il bambino fu partorito nel bosco di Lumbinī, dove nacque da un fianco della madre, senza alcun dolore. Secondo il racconto di Aśvaghosa, già alla nascita era pienamente cosciente e con un corpo perfetto e luminoso e dopo aver camminato per sette passi pronunciò queste parole: 

 Per conseguire l'Illuminazione io sono nato, per il bene degli esseri senzienti; questa è la mia ultima esistenza nel mondo.  (Aśvaghoṣa, Le gesta del Buddha) Dopo la nascita di Siddartha furono invitati a corte brahmani e asceti per una cerimonia di buon auspicio. Il vecchio saggio Asita trasse, com'era consuetudine, l'oroscopo del nuovo nato e riferì ai genitori le sue eccezionali qualità e la straordinarietà del suo destino; tra le lacrime, spiegò che egli sarebbe dovuto diventare o un Monarca universale o un asceta rinunciante, destinato a conseguire il risveglio, che avrebbe scoperto la Via che conduce al di là della morte, ossia un Buddha. Quando gli chiesero la ragione delle sue lacrime, il vecchio saggio spiegò che erano dovute sia alla gioia d'aver scoperto un tale essere, sia alla tristezza nel constatare che la sua età troppo avanzata non gli avrebbe permesso di ascoltare e di beneficiare degli insegnamenti di un tale essere realizzato. Il padre rimase turbato dalla possibilità che il figlio lo abbandonasse, privandolo della legittima successione al trono, e organizzò tutto quanto potesse impedire l'evento profetizzato. La madre Māyā morì dopo soli sette giorni dal parto e il bimbo fu allevato dalla seconda moglie del rāja Suddhodana, Pajāpatī, sorella minore di Māyā. Siddharta mostrò una precoce tendenza contemplativa e, all'età di sedici anni, si sposò con la cugina Yashodharā ("portatrice di gloria") con la quale ebbe un figlio, Rāhula. Fino a 29 anni Siddartha visse nel più grande lusso, come si addiceva ad un principe ereditario, completamente ignaro della realtà al di fuori della reggia: 

 Avendo meditato su come impedirgli di vedere alcunché di spiacevole che potesse turbargli la mente, il re gli prescrisse di dimorare nelle stanze superiori del palazzo e di non addentrarsi a terra. Negli appartamenti candidi come nuvole autunnali, simili a palazzi degli dèi innamorati della terra, piacevoli dimore di piacere in tutte le stagioni, egli passava il tempo [al suono] degli ottimi strumenti delle donne. Così, con [ritmi di] tamburi cerchiati d'oro e battuti da dita di fanciulle, e con danze pari a quelle delle più belle Apsaras, il palazzo splendeva come il Kailasa. E con soavi parole, scherzosi richiami, giocose ebbrezze e dolci risa, con mosse di sopracciglia e mezze occhiate, le donne colà lo intrattenevano. Egli allora, preda di femmine maestre di pratiche amorose e inesorabili nel piacere, non scendeva mai a terra dall'alto del palazzo, così come non scende dall'alto dei palazzi celesti chi ha accumulato azioni meritorie. (Aśvaghosa, Le gesta del Buddha

Quando finalmente uscì dal palazzo reale, insieme al suo auriga, per vedere la realtà del mondo, fu testimone della crudeltà della vita in un modo che lo lasciò attonito. Incontrò dapprima un vecchio: 

 Allora il principe, scorgendo quell'uomo in preda alla vecchiaia, diverso dai suoi simili in aspetto, preso da considerazione [per lui] e tenendo in lui lo sguardo fisso, disse all'auriga: "Dimmi auriga, chi è quell'individuo che si è avvicinato: ha i capelli candidi, la mano appoggiata a un bastone, gli occhi velati dalle sopracciglia, le membra tremule e ricurve! Che cos'è questo disastro. È la natura o è un caso?". Udito ciò, il conducente del carro, senza scorgere la propria colpa, offrì al figlio del re quella spiegazione che avrebbe dovuto essere celata; ma era stato confuso nell'intelletto dagli stessi dèi: "Assassina della bellezza, rovina della forza, grembo del dolore, tomba del piacere, distruzione dei ricordi, nemica dei sensi: questa, dalla quale è stato spezzato costui, si chiama vecchiaia. "Anche lui ha succhiato latte durante l'infanzia, più avanti nel tempo ha camminato carponi in terra, a poco a poco è diventato un giovane di bell'aspetto, a poco a poco è poi giunto alla vecchiaia". A queste parole il principe, un po' scosso, chiese all'auriga: "Accadrà dunque anche a me questo malanno?"; e il cocchiere allora gli rispose: "Per effetto del tempo la grave età coglierà di certo anche il mio venerando signore: la gente sa che la vecchiaia distrugge la bellezza, eppure la desidera!". Allora quel magnanimo, il cui intelletto era già puro per le attitudini [acquisite nelle vite] precedenti, e che aveva accumulato azioni meritorie per numerose epoche cosmiche, rimase sconvolto nel sentir parlare della vecchiaia, come un toro che oda da vicino il boato di un gran fulmine. Sospirò a lungo, scosse la testa e fissò lo sguardo sul vecchio; poi, guardando la folla che continuava a essere felice, turbato disse: "Così la vecchiaia distrugge senza eccezioni memoria, bellezza e forza, eppure il mondo non se ne preoccupa pur avendo questo spettacolo chiaramente sotto gli occhi. "Dal momento che le cose stanno così, volta i cavalli, o auriga, e torna a casa in fretta: infatti come potrei darmi ai piaceri nel parco se nella mia mente si aggira il terrore della vecchiaia?"

 In una seconda uscita dal palazzo incontrò un malato: 

 Il figlio del re, guardando pieno di compassione quell'uomo, chiese ancora: "Proprio a lui soltanto è capitata questa disgrazia, ovvero è universale tra gli uomini il pericolo della malattia?" A ciò il conducente del carro rispose: "Principe, comune a tutti è questa disgrazia, e quindi gli uomini, oppressi dalle malattie e tormentati dal dolore, si danno ai piaceri". Udita la spiegazione, egli prese a tremare sconsolato, simile alla luna che si riflette su acque increspate e, pietoso, così parlò in un tono un poco sommesso: Dunque, pur vedendo anche questa calamità per gli esseri viventi che è la malattia, il mondo è pieno di fiducia. Grande, ahimè, è l'ignoranza degli uomini, che ridono senza essere liberi dal pericolo delle malattie. 

 Infine, in una terza uscita, s'imbatté in un funerale: 

 Così il figlio del re chiese all'auriga: "Chi è quello? Quattro uomini lo reggono, persone afflitte lo accompagnano e, benché sia pieno di ornamenti, lo piangono". Allora il conducente […] spiegò acconciamente al suo signore quell'argomento di cui non avrebbe dovuto parlare: "Un uomo abbandonato da intelletto, sensi, soffio vitale e qualità, addormentato senza coscienza, divenuto come paglia o legno; egli viene ora abbandonato dai suoi cari dopo tante fatiche spese per allevarlo e proteggerlo: ecco chi è costui". Udite le parole del conducente egli ebbe come un tremito e chiese: "È forse limitata a quella persona tale legge, oppure vi è una simile fine per tutte le creature?" Il conducente gli rispose: "Per tutte le creature questo è l'atto finale; inevitabile è in questo mondo la distruzione per ciascuno, sia egli infimo, mediano o eccelso". Allora il figlio di quel sommo re, per quanto fosse risoluto, venuto a conoscenza della morte cadde immediatamente nella disperazione, e appoggiatosi con la spalla all'orlo della sponda, esclamò con voce squillante: "Questa dunque è la fine certa per tutti gli esseri viventi, e il mondo, messa da parte la paura, non se ne cura; dure mi sembrano le menti degli uomini dal momento che se ne vanno soddisfatti per la via. "Perciò, o auriga, si volti il carro: non è questo né il tempo né il luogo per andare a un giardino di piacere: come può infatti un uomo dotato di ragione che è venuto a conoscenza della morte rimanere incurante qui nel momento della sciagura?". (Aśvaghosa, "Le gesta del Buddha") 

 Siddartha comprese che la sofferenza accomuna tutta l'umanità e che le ricchezze, la cultura, l'eroismo, ossia tutti i valori che gli erano stato insegnati a corte, erano effimeri. Capì che la sua era una prigione dorata e cominciò interiormente a rifiutarne i piaceri e le ricchezze. Poco dopo, essendosi imbattuto in un monaco mendicante di cui vide la calma e la serenità, decise di rinunciare alla famiglia, alla gloria ed al potere per cercare la liberazione. Una notte, mentre la reggia era avvolta nel silenzio e tutti dormivano, con la complicità del fedele auriga, montò sul suo cavallo e abbandonò il reame per darsi alla vita ascetica. Secondo un'altra tradizione comunicò la propria decisione ai genitori e, nonostante le loro suppliche e lamenti, si rasò il capo e il volto, smise i suoi ricchi abiti e lasciò la casa. Fece voto di povertà e compì un tormentato percorso d'introspezione che, secondo i buddhisti, lo portò infine all'illuminazione perfetta, fino a raggiungere il nirvāṇa. 

Buddha Sākyamuni (Monastero buddhista di Namdroling) 

10) Kalki 

 L'ultimo avatar deve ancora manifestarsi: Kalki è infatti la forma che Vishnū assumerà alla fine di questa era cosmica, il Kali Yuga, l'epoca attuale di discordia e ipocrisia, oscurità e corruzione: 

 Al crepuscolo dell'era presente, quando tutti i re saranno diventati ladri, allora il Signore apparirà con il nome Kalki, Signore della creazione, [figlio del bramino] Viṣṇu Yaśas. (Bhāgavata Purāṇa I,3,25) 

 In precedenza, ci sarà una completa confusione tra le caste, la scomparsa della vergogna e del senso di verità, la tirannide dei potenti sulle popolazioni atterrite. La descrizione della venuta di Kalki ha accenti simili all'Apocalisse di san Giovanni: sette soli appariranno nel firmamento e, per il grande calore, le acque saranno risucchiate e l'intero universo riassorbito nell'ombelico di Vishnu. Kalki apparirà in sella a un cavallo bianco, tenendo una spada che risplenderà come una cometa; egli terminerà il mondo, consolerà i virtuosi e punirà i malvagi. Kalki non viene per salvare il mondo, ma per preservare la scintilla della vita, per poi dare, per l'ennesima volta, inizio al grande ciclo, con un nuovo Satya Yuga, l'età dei giusti. In conclusione, se vediamo un cavaliere armato discendere dal cielo su una bianca cavalcatura, dobbiamo cominciare a preoccuparci