Il mangiatore di carta

27.02.2025

A scanso di equivoci diciamo subito che il titolo è da intendersi in senso letterale, il protagonista della storia è davvero vittima di questa insolita perversione, e come se non bastasse è realmente esistito, si chiamava Johann Ernst Biren o Biron (1690/1772). 

https://it.wikipedia.org/wiki/Ernst_Johann_Biron

Ebbe vita intensa e avventurosa. Come riportato dal risvolto di copertina "questo avventuriero settecentesco [...] di natali oscuri finì con il diventare signore di Curlandia ed eminenza grigia dell'Impero russo; bellissimo di aspetto, capace di una grafia meravigliosamente elegante (risorsa preziosa in un'epoca di manoscritti), soccombeva a un vizio ossessionante: mangiare carta vergata di inchiostro, fino a divorare trattati internazionali e documenti preziosissimi dei sovrani cui prestava la sua opera di scrivano. Un gusto travolgente per la carta e l'inchiostro che lo portò sull'orlo del patibolo, da cui lo salvò, come un più modesto Casanova, l'avvenenza e la fuga." Balzac nel suo romanzo Le illusioni perdute ne fa un breve cenno; il giovane protagonista Lucien Rubempré, in procinto di suicidarsi, viene salvato da un personaggio del quale ora non ci importa, il quale lo salva proprio raccontandogli la storia del mangiatore di carta. Balzac dedica poco spazio al singolare personaggio benché lo incuriosisse molto. Questo gioco di specchi, di storia nella storia, continua perché Edgardo Franzosini, affascinato da questa figura, vuole saperne di più ed si reca a trovare Balzac, sì avete capito bene: il romanzo comincia proprio così  Parigi, Place de la Concorde. È il primo mattino, l'aria è umida, le vie deserte. Un uomo si aggira pallido, stremato, per la piazza. Più corto che piccolo, le gambe da bassotto e il profilo ad asso di picche, indossa un saio di cachemire di tinta chiara e calza pantofole di marocchino rosso fiorite di ricami. Una catena d'oro a maglia veneziana alla quale sono sospesi come ciondoli un paio di forbici e un tagliacarte, gli corre lungo tutta la circonferenza della vita. Il suo nome è Honoré de Balzac, e si tratta proprio del grande romanziere […] Mi avvicino a lui, prendo devotamente nella mia la sua mano grassoccia e, in silenzio, lo riaccompagno verso rue Basse. Balzac si lascia guidare. Il suo sguardo è dolce e rassegnato […] Ma per quale ragione ho intrapreso un viaggio tanto lungo, tanto impegnativo, nel tempo e nello spazio, al fine di arrivare a Parigi e in questa città incontrare il grande scrittore francese?.. poi la storia ha inizio. 

Cosa si può dire? Solo una cosa, benché l'insolita perversione del protagonista sia reale, mi piace sottolinearne la valenza metaforica. Dei grandi lettori si dice che siano divoratori di libri, ma c'è molta differenza fra questi commensali da biblioteche, fra le mille sfumature, agli estremi ci sono i ghiottoni, di bocca buona, e i raffinati buongustai, a quest'ultima categoria si addice il testo in oggetto. Per associazione di idee, rimando ad un altro libro per palati fini, dove il rapporto cibo- libri approda ad un esito distruttivo, di amore e morte, delle pagine cartacee: Manaraga, la montagna dei libri di Vladimir Sorokin Recensito in questa sezione.

P.S. da molto tempo, per questioni di spazio, leggo prevalentemente in digitale, addentare un lettore di ebook consentirebbe una scorpacciata di titoli, ma si ammetterà che non è la stessa cosa.

Sfogliando il libro

Johann Ernst solleva la penna e considera con attenzione la superficie del foglio. È carta prodotta nella città di Fabriano. Il suo formato è quello denominato con locuzione italiana d'uso in tutta Europa: «Doppio Reale» (13 per 24 cm). Per quel che riguarda la qualità si tratta di carta morbida, che non dà polvere e che soprattutto possiede, in sommo grado, doti di uniformità e di purezza.

Con la punta di due dita, delicatamente, Johann Ernst afferra l'angolo di un foglio, lo stringe, lo guida verso le labbra che si dischiudono appena, carnose e vermiglie, per far passare la sottile falda di carta. Serrata la bocca con la rapidità e la risolutezza di un congegno meccanico, lo scrivano inizia a succhiare lentamente quel piccolo lembo di Doppio Reale.

Sulle prime procede cauto, dubbioso, esitante.

Si ferma, un attimo.

Quindi ricomincia.

Sempre meno esitante. Con sempre più risoluta e decisa concentrazione.

Poi si ferma di nuovo.

Osserva il foglio che tiene stretto tra il pollice e l'indice della mano sinistra. Con le dita dell'altra mano ne sfrega per un momento la superficie. A quel punto, senza alcuna apparente consapevolezza dell'eccesso al quale si sta abbandonando, Biren spalanca del tutto la corona dei denti e dopo averla recisa dal resto del foglio, introduce nella cavità orale, non una punta, non un angolo, non un brandello, bensì un'ampia porzione di carta.

In principio la carta si incolla al palato e occorre tutta l'abilità della lingua di Johann Ernst, in particolare tutta l'energia del suo apice, per giungere a staccarla interamente da quello che con lirica espressione viene chiamato «il cielo» della bocca. Una volta alla loro portata, i denti (molari, premolari) iniziano a masticare la razione di carta ormai fradicia e disfatta, iniziano a triturarla con puntiglio, a maciullarla diligentemente, per poi ricomporla in forma di palla disgustosa ed espellerla sul pavimento di legno di quercia. Un secondo, un terzo, un quarto boccone subiscono la stessa sorte. Il foglio è ormai scomparso, trasformato, si direbbe, in quattro molluschi umidi di ostrica che, senza valva, giacciono a terra.

Nonostante quel primo deludente assaggio, lo scrivano, già l'indomani, tornò a provare, misteriosa ma incalzante, l'irresistibile tentazione di addentare, e quindi di succhiare e infine di masticare un foglio di carta bianca. Tentazione a cui, anche quella volta, non trovò la forza di reagire e di sottrarsi.

Lo stesso accadde il giorno dopo (lo sfilò dal mezzo di una delle risme, il foglio sporgeva un poco, che ingombravano come al solito il suo tavolo da lavoro). E anche il giorno successivo.

Non trascorse una settimana che una sera si verificò l'irreparabile. Mentre era alle prese con la trascrizione di una lunga lettera di notifica di Goertz ad un suo omologo ministro, il piccolo scrivano, giunto sull'orlo del proprio personale abisso, compì il passo fatale e decisivo. Il passo che lo fece sprofondare definitivamente.

Non riuscì cioè a resistere alla voglia di cacciarsi in bocca, non fogli bianchi, netti, puliti, bensì fogli scritti (in qualche modo come chi volesse passare da un piatto di riso bollito a un piatto di risotto al tartufo, osserva Laurent Grimod de la Reynière). Ma soprattutto non seppe opporre resistenza, non solo al bisogno di succhiarli con cura e di masticarli per bene, come gli accadeva del resto ormai da giorni, ma anche al mostruoso impulso, stavolta, di farli passare dalla bocca alla faringe, e da lì poi giù giù all'esofago. In altre parole, di inghiottirli.