Il tatuaggio

Setacciando nel fiume del web, alla ricerca di qualche preziosa pepita libraria, ho incontrato Georges Eekhoud (Anversa 1854- Shaerbeek 1927), scrittore belga francofono dalla prosa potente ed elegante, pressoché sconosciuto da noi.
Per serendipità, grazie a una felice, inconsapevole, associazione dell'algoritmo, ho avvertito sullo schermo il richiamo discreto, ma deciso, della copertina giallo ocra, caratteristica della raffinata collana che porta il nome di questa varietà di colore. La piccola, temeraria editrice Via del vento vi ha raccolto preziosi inediti, in copie numerate, di grandi scrittori del Novecento di vari paesi.
Il nome di questo scrittore mi era del tutto ignoto, ma il fatto che fosse incluso in questa prestigiosa raccolta è stato sufficiente a convincermi all'acquisto (oltre al modico prezzo di 4 euro).

Nel volumetto, meno di cinquanta pagine, sono presenti cinque racconti, cinque brevi cantiche di un viaggio agli inferi, non nel regno ultraterreno dell'Ade, ma in quel Tartaro profondo e oscuro che sta in superficie, dove sono confinati i reietti, quelli ritenuti indegni di condividere spazi, luce e libertà, in senso fisico e metaforico, con il resto della popolazione. Profondo e oscuro, perché separato e non visibile alla società, se non per un visitatore intenzionale, voce narrante, guida ed elemento unificatore dei diversi quadri rappresentati. Infatti non si tratta di storie, ma di scorci della situazione vissuta da gruppi umani costretti, a diverso titolo, ai margini della vita "normale".
Esseri ripugnanti, abbrutiti, delinquenti, irregolari di ogni sorta.
Galeotti costretti ad un estenuante, spietato lavoro forzato, come animali.
Miseri gaudenti da taverna, sedotti da luppolo, alcol, vertigine e carne.
Sfruttati che tormentano uno di loro perché più debole.
Amanti deplorevoli per l'ipocrisia del mondo.
In queste cantiche infernali in minor sono presenti i temi principali trattati dall'autore nei romanzi e in altre raccolte più ampie: l'emarginazione dei derelitti e l'omosessualità.
Pur nella loro brevità, questi testi, icasticamente evocativi, sono completi e forti nel messaggio e superbi nello stile; il linguaggio è forse un po' enfatico, ma sostenuto da una passione sincera, e di un'eleganza lessicale dalla quale non si può non essere ammaliati.
Sfogliando il libro
Gli uomini erranti.
Sfilano davanti al narratore-visitatore i nuovi ospiti di un istituto per vagabondi.
Miserabile carovana! Si tratta di una cinquantina di individui di ogni età e di ogni genere, ognuno con la sua forma di degrado: disertori, scioperati, gente che batte i marciapiedi, avanzi di galera, mendicanti cronici, girovaghi, ladruncoli, tutti gli irregolari, tutti gli uomini erranti della città e dei campi...
Portano scarpe senza suole, pantaloni sfilacciati, camiciotti stinti, berretti senza visiera o cappelli disfatti, abiti insozzati, ma che ancora mostrano la loro buona fattura. In quella massa umana domina un tono rossastro, sopra il bruno della terra o sulla polvere delle strade. Sprigiona quella puzza particolare dei boschi infestati da millepiedi.
I nuovi si riconoscono dalla loro andatura inquieta, dal loro aspetto contrito, dal modo in cui ruotano la testa o dagli sguardi che interrogano in fretta l'aspetto di quei luoghi. Allo stesso modo i cani scrutano la novità di una nuova casa.
I recidivi invece, quelli che tornano sempre, passando davanti al direttore, gli fanno un saluto con la mano o sorridono con aria spavalda. Ma il triste saluto e la falsa allegria, la smorfia atroce di quel sorriso, che meschino cinismo!
Dove ho mai visto quelle figure? Se ce ne sono alcune spaventose come quelle degli incubi, ce ne sono anche di vigorose e care come quelle degli eroi creati nei miei libri.

Due vagabondi che camminano nella neve Théophile Alexandre Steinlen
Il mulino-orologio
La seconda cantica descrive un autentico girone infernale, una gigantesca macina di mulino azionata a turno da trenta detenuti per duecento giri prima che sia dato loro il cambio. La descrizione ha il tratto vivo e palpitante di una incisione di Doré.
[...] una trentina di ragazzi robusti, dal collo massiccio, [che] azionavano, tre per ogni raggio, la ruota immensa e pesante. Chini in avanti, impugnavano i loro raggi come i bracci di una leva o di un verricello, caricando tutto il loro peso sul manico, spingevano, marciando al passo, i fianchi in equilibrio, con l'andatura docile e passiva di una bestia da soma. Giravano, giravano, eternamente, senza proferire una parola [...] giravano, per continuare a girare, e girare per sempre. [...]
Ogni volta che passa davanti a me, uno di questi motori umani, sempre lo stesso, lancia ad alta voce la cifra dei giri eseguiti dal gruppo. È la lancetta principale di questo orologio, l'annunciatore dei minuti trascorsi, dal timbro monotono e discorde, funebre come un rintocco. [...]
Negli ultimi giri, la ruota geme, sprofonda, riparte a fatica; gli uomini-motore avanzano piano, allungano il passo. Quelli che s'ostinano a camminare con una certa baldanza, si fiaccano, rallentano. Sorrisi ambigui, moine melliflue degenerano in una smorfia di sconforto.
- Duecento!... Alt!
Un giro in più e sarebbero crollati.
Trenta nuovi coloni, freschi e riposati, addossati ai muri, oziavano, a braccia incrociate, nell'attesa di ruotare la mola, dando il cambio ai compagni estenuati.

Fonte https://scn.caiparma.it/il-mulino-a-ruota-orizzontale/
Lo schema del mulino descritto è più o meno questo, si devono solo immaginare in basso, alla manovra della ruota gli uomini-motore.
Il tatuaggio
La terza tappa di questa discesa agli inferi è una sala da ballo, in un quartiere popolare, dove si svolge una danza sfrenata, dionisiaca quasi, che vede protagonista un adolescente dalle movenze aggraziate e seducenti vittima di una, apparentemente inspiegabile, brutale aggressione da parte di un uomo.

[...] ero capitato, insieme a un compagno, al «Bummel», il famoso locale da ballo della zona.
[...] Operai vestiti a festa, una folla d'apprendisti di chissà quali mestieri e soprattutto un nugolo di quegli esseri refrattari e asimmetrici definiti come delinquenti dalla gentaglia che li perseguita e li disprezza, si dimenavano a coppie o con le loro compagne di ballo, il più delle volte ragazze indolenti o generose. [...]
Nella folla di gaudenti sedotti da luppolo, alcol, vertigine e carne, uno di loro, davvero indimenticabile - e questo racconto ne è la prova - ci attrasse da subito per la sua figura senza eguali, l'agilità stupefacente dei movimenti, l'eleganza inattesa. [...]
S'atteggia senza sosta, ebbro di esuberanza, godendo l'elasticità adolescente delle sue gambe ben plasmate con muscoli scattanti e ipersensibili che vediamo fremere, quasi di piacere, sotto i calzoni ben tesi [...]
Terminata la danza il giovane esce con una ragazza.
[...] da fuori un individuo spinse la porta e urtò la nostra coppia.
Era un omone con le spalle larghe, barbuto e rosso in viso. Ma non ci lasciò molto tempo per osservarlo. Folle, furioso, in preda a non so quali sentimenti di rabbia e follia omicida, quell'individuo s'era gettato sul giovane in completo grigio. Prima che [...] potessimo impedirlo, quel bruto, scagliandosi sul nostro prediletto, lo scaraventò a terra, riempiendolo di cazzotti, strappandogli gli abiti di dosso; tutto ciò, urlandogli degli insulti dove frignava, o ringhiava, la più infiammata delle passioni.
Tutto si svolse in pochi secondi. Riprendendoci subito dalla nostra costernazione, ci precipitammo su quel forsennato, e nonostante la sua forza indiavolata, anche se continuava ad aggrapparsi alla sua vittima aiutandosi con le ginocchia, le unghie e anche con i denti, riuscimmo finalmente a fargli lasciare la presa e a spingerlo in un angolo dove, sopraffatto, spinto contro il muro, non smetteva di piangere e sbavare allo stesso tempo.
A questo punto l'inatteso, qualcosa sul corpo del ragazzo, un tatuaggio, induce i soccorritori a dileggiarlo, con urla e risa sguaiate. Non andiamo oltre per non rivelare il finale.
Des Angliers
Un uomo cena in una taverna affollata dove, un povero garzone, che si prodiga con un'aria istupidita, è vessato senza pietà dai camerieri.

Una taverna al centro della città, in piena notte, nell'ora in cui ci sono pochi clienti...
Des Angliers ha finito di mangiare e, stanco, osserva l'andirivieni della gente, mentre rumoreggiano i camerieri, portando boccali e vivande fredde. Sono giovani pallidi, vestiti di nero, stretti nei loro abiti, inguainati nei loro grembiuli bianchi, hanno un'aria losca, una finta deferenza contraddetta dallo sguardo sfrontato, dal sorriso maligno, dalla voce da imbonitore.
Des Angliers compiange il piccolo aiutante, il povero garzone di questo spaccio di sbobba: tra i dodici e quattordici anni, una testa bruna ancora bella, ma che già mostra una piega, un'espressione ambigua e servile, mercenaria. Grandi occhi, resi ancora più grandi da equivoche occhiaie. Ah, le sofferenze, e forse le infamie, dei garzoni! Con il suo tremendo quinto senso e il suo fiuto fin troppo sottile Des Angliers intuisce i misteri della dispensa e del lavabo. Un'iniziazione prematura, crudeltà, abusi di potere. [...]
Il piccolo aiutante si prodiga con un'aria instupidita. Tutto il personale si arroga dei diritti su di lui come l'equipaggio di una nave su un mozzo. Alcuni camerieri si rivolgono a lui rabbiosi, con un tono arrogante, perentorio; altri gli danno ordini con una cantilena carezzevole, con un'indulgenza insidiosa verso il docile lavoratore che inquieta l'osservatore, più ancora degli spintoni che gli appioppano di continuo.
- Del pane al tavolo due!... Un coperto al sei!
Anche in questo caso, un finale inatteso. Amaro e crudele.
Giochi sull'acqua
Un'avventura omoerotica: due turisti in barca sul fiume e due vigorosi marinai. Il fiume un luogo altro, scenario incantato per una voluttà che coinvolge corpo e anima, lontano dal mondo ordinario fatto di banali visioni, fragili abbracci, respiri corrotti e aridi amori. Una storia poetica e sensualmente allusiva.

Gustave Caillebotte
[...] Tutto, dal loro corpo virile, emana profumo di quercia, un profumo che fortifica il sentire e scaccia il superfluo. Questo momento della giornata, tutti questi elementi, rafforzano profondamente la nostra comunione fisica.
Ed è così che, isolati, in quattro, due poveri diavoli e due amanti, quattro piccole figure svagate, risalirono senza pensarci il corso del grande fiume trafficato, sornione e affascinante.
Un piacere indicibile, trovarsi vicini e poi, quasi senza accorgersene, ritrovarsi simili. Loro due assorbiti in noi e in un attimo noi incorporati in loro: fu una vera comunione, durante la notte, sotto le specie di questi umili ragazzi. Non so come andrà a finire tutto ciò. Ma che dispiacere, al pensiero che questa buona intesa dovrà finire...[...]
Siamo sempre in quattro, due poveri diavoli, e due amanti. Si, quattro, ma quattro poveri diavoli, e altrettanti amanti!
I due ragazzi s'accordano a tutto ciò che li circonda, anche ai moti della nostra e loro tenerezza, la loro diventa la nostra, la stessa, l'unica. Quante volte hanno abbandonato i remi, quante volte li abbiamo ripresi noi? Mi ricordo che in qualche caso abbiamo remato noi due, poi l'ho fatto assieme a un marinaio, e dopo ancora ero in coppia con l'altro.
A mano a mano che scorreva quella serata magnetica ci sentivamo sempre più vicini. I nostri pensieri si davano del tu e si cercavano, come bocche; i nostri pensieri erano baci, e per paura di apparire meno uniti di quelle nostre carezze, tacevamo, impauriti, o mormoravamo solo quelle parole affannose che arrestano il battito dei cuori colmi di piaceri. [...]

Gustave Caillebotte
Dove siamo sbarcati? [...] In quale momento la solita vita ci ha ripreso nelle sue spire? Dopo quante ore siamo tornati ai gesti adatti alla gente del nostro mondo e siamo tornati, per salvare le apparenze, a ciò che siamo sempre stati?
Abbiamo detto solamente «addio» a due creature speciali che hanno impregnato la nostra carne della loro essenza, così come il nostro fiato si è riversato nel loro corpo attraente?
Perché si sono staccati da noi riprendendo i loro rudi panni da marinai senza lasciarci nulla del loro corpo, del loro incredibile vigore, nient'altro da vedere, da toccare, da annusare, e neppure da pensare, restituendoci, assieme ai nostri abiti terrestri, le banali visioni, i fragili abbracci, i respiri corrotti e i nostri aridi amori?

Gustave Caillebotte