Gli incantevoli scarti

14.08.2025

Qui non ci sono enigmi in senso stretto, ma non poteva esserci collocazione migliore per questo libro - sibillino, astruso - che mette alla prova la pazienza e la capacità intuitiva del lettore.
Le recensioni trovate, (pochissime), a parte qualcuna entusiastica, sono quasi tutte perplesse e negative: "illeggibile", il giudizio tranchant che le riassume.
Il libro, come da sottotitolo, si compone di brevi testi, di cento parole: romanzi che sono stati sfrondati dell'accessorio, del contingente, per essere presentati al lettore, nella loro ermetica essenzialità. Perché questi attribuisca loro un senso? Forse.

Un piccolo elenco all'interpretazione di chi legge. Alla fine alcune riflessioni.

Chi cerca trova
Veramente si trova sempre quel che non si cerca, e mai quel che si cerca. Per esempio l'appunto con l'orario del sospirato arrivo di Zoe a Fiumicino. Ulpiano frugò senza successo tutta la casa. Pregava ancora il dio che ci nasconde le cose, quando, fra due camicie che non indossava più ma che non osava buttare, trovò la lettera di Adua. Sapeva che rileggere è sguazzare nell'irrevocabile passato, ma la rilesse. A noi, suoi contemporanei, potrebbe riassumerla così: «Arrivo a Rimini con l'accelerato delle otto e ventidue». Che ora è? Le otto. Se corre, se ha fortuna, può farcela.

Sto andando avanti nella lettura, lentamente e non in maniera continuativa, è l'unico modo.
Capisco le perplessità e il rigetto di alcuni lettori, il legittimo abbandono di un libro incomprensibile. Neppure io ho compreso alcuni dei testi che lo compongono: tanti piccoli scrigni che richiedono una chiave per essere aperti e rivelare il loro contenuto. Brevi storie dietro le quali si nascondono frammenti universali della condizione esistenziale umana, distillate da una narrazione metaforica, ipnotica per me, per chi ama vagolare nell'ambiguità. Una scrittura enigmatica, una lettura enigmistica, una sfida alla soluzione, ipotetica, incerta, che può essere diversa per ciascuno.

Difetto perfetto
Altro che Leda, quella patita della montagna. Altro che Jole, quella che si tuffava dove si tocca. Niente più gioie effimere e tormenti che durano. Da quando c'è Sabina, Virgilio se la tiene stretta come una borsetta. Sabina galleggia nella vasca che è un piacere, quasi batte il crawl. Prende le onde gentili dell'Egeo, prende perfino le tempeste del Pacifico infingardo. Si lascia ripiegare: non protesta. Sta nella valigia più grande che ha. Viaggia con lui. Dorme con lui. Sogni, che lui sappia, non ne fa. На tutto: il corpo flessuoso e l'anima invisibile. Le manca solo la parola.

La curva
Chi prende tempo lo sciupa. Da quando Ornella, che odia la musica da sempre, ha incominciato a odiare lui, Goffredo si è dato alla musica. Suda sul polveroso corso per principianti che ha ripescato dalla soffitta. Pazientemente oscilla al ritmo del metronomo, come il fachiro al ballo del suo cobra. Fa do la, do la: sgobba le notti e i giorni sui suoi solfeggi. Da quando ha scoperto che la curva formata dai fianchi e dal punto vita di Ornella ha le proporzioni del più ingombrante degli strumenti, suona il violoncello. È ancora sua, e la pizzica quando gli pare.

Man Ray, Le violon d'Ingres, 1924

Troppo vicini
Il guaio di Amelia e Decimo è che vivono nella prima metà dell'altro secolo. Il guaio supplementare è che abitano in città troppo vicine, come lo spazio vuoto fra due parole impazienti di rimare. Incontrarsi si incontrano, ma i loro treni non fanno in tempo a prendere qualche elettrizzante coincidenza o a incappare in qualche guasto enigmatico, cioè pepato, che già sono arrivati a destinazione. (Si sa: dove ci sono certezze non c'è stile). Sono lumache che corrono da Ravenna a Lugo, da là a qui e da qui a là, senza passare per quel mistero che chiamano felicità.



Potrebbe essere così

Chi cerca trova

Una scrivania ingombra di libri, ma soprattutto di fogli e foglietti, di ogni dimensione, come un viale in autunno. Date, numeri telefonici - rigorosamente senza nome; indirizzi, orari di chissà che - medico? ufficio?; qualche titolo di libro; calcoli, giochi di parole - anagrammi, acrostici, crittogrammi . È la mia e, naturalmente, quel che cerco non lo trovo, è altrove, ma… ecco dov'era finito, ho trovato un'altra cosa cercata tempo fa: un verso, una citazione, un nome, ma non mi serve più.
Immediata identificazione con Ulpiano (e consolazione, non capita solo a me), ma non prego il dio che nasconde le cose, né il santo che le fa ritrovare (Sant'Antonio?), la colpa è solo del mio sistematico disordine.
La ricerca del maledetto appunto scomparso è un piccolo viaggio nel tempo, a ritroso, ci si perde a leggere annotazioni passate che erano sembrate importanti, ora inutili o di cui si è dimenticato lo scopo o che ci immalinconiscono.
Ed ecco che ad un certo punto accade qualcosa: uno di questi banali appunti diventa un deviatoio e, come quello ferroviario, ci sposta su un altro binario, temporale in questo caso, e per davvero. Questo è il colpo di coda, geniale, del racconto: lo sgualcito foglietto diventa una macchina del tempo, e trasporta Ulpiano nel passato, consentendogli di rimediare a un rimpianto, offrendogli la possibilità di correre ad un appuntamento mancato. Al lettore fantasticare su ciò che accadrà nell'incontro con la donna perduta, nel passato ritrovato.
Ma l'interrogativo per il lettore si ripropone nel presente perduto ora, nel quale un altro appuntamento viene disertato. 
I tempi si confondono. O sono i ricordi? I rimpianti? I desideri?


Difetto perfetto

 L'eterno sogno della donna ideale, felicità senza pena (come se fosse possibile). Eppure quest'uomo l'ha trovata. Forse ho capito. Forse.
Ho pensato a una cosa precisa, concreta, ma il senso è più ampio, se no sarebbe banale, be' lo è.
Una bambola gonfiabile.
Un'interpretazione letterale, troppo facile,

Tenuta stretta come una borsetta, mai persa d'occhio; buttata nell'acqua: dalla domestica vasca alla vastità oceanica tempestosa; costretta nello spazio angusto di una valigia, privata dei sogni e della parola… Dio fa' che sia una bambola gonfiabile.


La curva

Vendetta? Desiderio? L'una non esclude l'altro, due piaceri in uno, una maggiore intensità.

[...] Perché non fabbricare un violino in tutto e per tutto identico a Carla? Se volevo riprodurne la voce, non dovevo cominciare ispirandomi al suo corpo? Ne fui subito convinto: dovevo realizzare un violino nero come i suoi occhi e la sua chioma.[...]
Due mesi dopo, per la prima volta in vita mia, mi ritrovai tra le mani un magnifico violino nero.
Decisi di provarlo quella sera stessa [...]
Presi in mano il violino e, delicatamente, ne carezzai la vernice. Il legno, a contatto con la mia mano, parve cantare. Capii che quel violino era davvero eccezionale.
Allora, preso un archetto, cominciai a suonare.
Come una piuma che si posa sul pelo dell'acqua, l'archetto scivolò sulle corde. Si levò il primo suono: era la voce di una donna. Di un soprano.
Tremante di felicità, rimasi per qualche istante in sospeso, capendo che avevo appena realizzato il mio sogno più caro.
Quella notte suonai il violino nero come mai avevo suonato alcuno strumento. Tra le mani mi sembrava di tenere il corpo di Carla.
(Maxence Fermine, Il violino nero)

Troppo vicini

Quando i treni erano in orario.
Non tutto il bene vien per giovare.
Qualche imprevisto, una deviazione improvvisa, a rompere la monotonia.
Non tutto il bene dà felicità.