La seduzione è un'arma divina

A. Carracci, Giove e Giunone, 1597 – 1600, affresco, Palazzo Farnese, Roma
Gli dei, dall'Olimpo, seguono la battaglia che infuria presso le mura di Troia, quasi fosse una competizione sportiva: Afrodite, Artemide, Apollo, Ares favoriscono i Troiani. Era, Efesto, Atena, Poseidone ed Ermes stanno dalla parte dei Greci. Nel momento in cui si svolgono i fatti, Poseidone, si sta avvicinando al campo di battaglia. Era, temendo il furore di Zeus, che vorrebbe gli Olimpii neutrali, mette in atto un piano antico quanto il mondo: tenere il marito-fratello occupato in altre faccende.
L'episodio è raccontato nel XIV canto dell'Iliade, una delle più belle scene di seduzione della letteratura universale. La versione del poema qui riportata è quella di Ettore Romagnoli.

Poseidone entra in battaglia.
Detto cosí, si lanciò sul piano, levando un grande urlo.
Quanto gridar novemila potrebbero, o vuoi diecimila
guerrieri, quando l'urto comincia, la zuffa di Marte:
simile grido il Nume possente che scuote la terra,
dal seno emise; e infuse nel cuore a ciascun degli Achei
fiera guerresca brama, fervore incessante di zuffe.

Era lo vede e se ne rallegra, ma teme che Zeus se ne accorga.
Era guardava intanto, la Diva dall'aureo trono,
che dell'Olimpo stava sovressa una vetta. E conobbe
il Nume, ch'era a lei fratello e cognato, che andava
correndo, in gran faccenda, pel campo; e fu lieto il suo cuore.
Ma Giove scòrse poi, seduto sul vertice estremo
dell'Ida irriguo d'acque sorgive; e le parve odioso.

Bisogna impedire, a tutti i costi, che Poseidone, sia visto da Zeus. Era sa bene come fare.
E volse allora in mente, la Diva dagli occhi fulgenti,
come in inganno trarre potesse l'egioco Giove.
Questo, poi ch'ebbe pensato, le parve il partito migliore:
bene abbigliarsi tutta, poi farglisi accanto su l'Ida,
se Io cogliesse forse desio di giacere in amore
fra le sue braccia, ed ella soave sapore oblioso
potesse a lui sul ciglio versar, su lo scaltro pensiero.
Gli dei, non sono poi così diversi dagli umani, e le reazioni dei maschi delle due specie sono abbastanza prevedibili, facilmente indotto il desiderio grazie ad una spettacolare apparizione e, dopo il certame d'amore, il riposo del guerriero, il sonno ristoratore.
L'astuta dea si prepara: Omero, o chi per esso narrò queste epiche gesta, ci fa assistere, in un crescendo di taglio cinematografico, all'evento. Creme, profumi, accurata acconciatura, monili, delicati tessuti, aggraziate calzature, le femmine delle due specie, divina e umana, conoscono bene il bersaglio, e sanno come colpirlo.
Mosse al suo talamo allora, che aveva per lei costruito
suo figlio Efèsto, l'uscio su stipiti saldi adattando,
con una chiave segreta: niun altro dei Numi l'apriva.
Entrata qui, la Diva richiuse la porta lucente.
E con ambrosia linfa da prima le amabili membra
tutte purificò, le asperse di limpido unguento
divino, ch'ella aveva, piacevole, tutto fragrante:
con l'agitarlo solo, dal bronzeo palagio di Giove
se n'effondeva l'olezzo pel cielo e per tutta la terra.
Tutte con questo la Dea cosparse le belle sue membra,
si pettinò la chioma, le fulgide trecce compose,
lucide, belle, tutte fragranti, sul capo immortale.
Ed una veste poi magnifica cinse, che Atena
tessuta avea per lei, lavorata, adornata di molti
ricami: la fermò sul seno con fibule d'oro,
cinse alla vita una zona ornata di pendule frange;
poi gli orecchini infilò nei lobi forati, a tre gemme,
riscintillanti: attorno spandeasi fulgore di grazia.
Poi con un velo copri, la Dea fra le Dee, la sua fronte,
bello, tessuto di fresco, che al pari d'un sole fulgeva.
Infine, strinse ai piedi suoi nitidi i sandali belli.
Così abbigliata si reca da Afrodite
E poi ch'ebbe cosí tutte adorne le vaghe sue membra,
dalla sua stanza uscì, chiamò la divina Afrodite,
e le parlò, dagli altri Celesti lontano, in disparte:
«Vuoi tu, figliuola mia, concedermi quello ch'io chiedo,
oppur darmi vorrai rifiuto, sdegnata nel cuore
perché sono io dei Danai sollecita, e tu dei Troiani?»
Afrodite tifa per la squadra avversa, ma la complicità femminile, e il rango della postulante - è la moglie del capo - inducono la dea del gaudio ad accondiscendere di buon grado alla richiesta.
[...] E a lei cosí rispose l'amica del gaudio Afrodite:
«Né voglio io, né sarebbe possibile opporti rifiuto,
ché fra le braccia tu dormi di Giove, signore di tutti».

Era vuole il potere che induce il desiderio, ma non per sé (bugiarda!) ma per Oceano e Tetide, che l'hanno allevata, ed ora stanno vivendo una crisi di coppia.
«Dammi or l'Amore, dammi la Brama onde tu gl'immortali
dòmini tutti, e tutte le stirpi di genti mortali ».
E Afrodite
[...] dal seno disciolse una fascia trapunta,
versicolore, ove tutte raccolte le illècebre aveva.
Era l'Amore quivi, la cupida Brama, il Colloquio
lusingatore, che toglie di senno fin anche i piú saggi.
Questa alla Diva porse, le volse cosí la parola:
«Su', Diva, prendi, adesso, e avvolgi al tuo sen questa fascia
versicolore, ove tutte s'accolgon le illècebre; e certo
non tornerai, che tutta compiuta non sia la tua brama».
Cosí parlava. Ed Era dagli occhi lucenti sorrise;
e quando ebbe sorriso, sul seno si pose la fascia.
Maria Grazia Ciani così traduce in prosa questi versi.
Disse così, e sciolse dal petto la fascia, ricamata e variopinta, dov'erano racchiusi tutti gli incanti; vi erano amore, desiderio, dolci parole e la seduzione che rapisce la mente dell'uomo più saggio; la pose, Afrodite, nelle mani di Era, e chiamandola per nome le disse: «Prendi, mettiti al petto questa fascia dai mille colori, che racchiude tutti gli incanti; e io ti dico che non tornerai senza aver ottenuto quello che nel tuo cuore desideri».
Così parlò, sorrise la dea dai bellissimi occhi e sorridendo si mise al petto la fascia.

Ma Era ha ancora qualcosa da fare per perfezionare il suo piano.
Balza giù dall'Olimpo raggiunge la Pieria e la bella città di Ematia, poi sale di slancio sui monti nevosi della Tracia, verso le cime più alte senza toccar terra coi piedi. Dal monte Athos per mare arriva a Lemno. Qui incontra, Hypnos, il Sonno, fratello di Thanatos la Morte, lo prende per mano e, chiamandolo per nome, lo prega far chiudere gli occhi di Zeus subito dopo il combattimento amoroso, e gli promette in dono un trono dorato, fornito di sgabello su cui poggiare i nitidi piedi, (gli dei ci tengono all'igiene), oggetto di fine fattura foggiato dal divino fabbro Efesto.
Ed Era con un balzo partì dalle vette d'Olimpo.
[...] Su la Pïeria passò, su l'amabile Emàtia, dei Traci
usi a domar cavalli sui monti nevosi: volava
sopra l'estreme vette, né i piedi sfioravan la terra.
E giú piombò, dai picchi dell'Ato, sul mare ondeggiante.
giunse pel mare a Lemno, città del divino Toante.
A Lemno s'imbattè nel Sonno, fratel della morte,
e porse a lui la mano, cosí la parola gli volse:
«Sonno, di tutti i Numi signore, e degli uomini tutti,
come altre volte ascolto mi desti di ciò ch'io ti chiesi,
ascolto anche ora dammi: da me ne avrai grazia perenne.
Sotto le ciglia a Giove sopisci le fulgide luci,
súbito, appena seco giaciuta in amore io mi sia;
e un trono avrai scolpito nell'oro, bellissimo, eterno.
Per te lo foggerà Efèsto, il mio figlio ambidestro,
con sottile arte; e sotto porrà lo sgabello, su cui
potrai poggiare, quando banchetti, i tuoi nitidi piedi.
Ma il Sonno si mostra esitante, teme l'ira del re degli dei, che già aveva sperimentato in altra occasione, per una richiesta analoga della stessa dea.
Allora la dea dalle bianche braccia fa ad Hypnos, il Sonno, una proposta che non può rifiutare.
Era promette a Hypnos che gli darà in sposa una delle Grazie, la bella Pasitea, che egli da tanto desidera; con un solenne giuramento, chiama a testimoni gli dei ctonii che manterrà la promessa.

Hypnos, il Sonno
Ed Era a lui rispose, la Diva dagli occhi lucenti:
«Sonno, perché la tua mente rièvoca questi pensieri?
[...] Su, vieni, ed una a te darò delle floride Grazie,
che tu compagna l'abbia, che debba chiamarsi tua sposa:
Pasitea, per cui notte e giorno tu ardi di brama».
Cosí parlava. E Sonno fu lieto, e cosí le rispose:
«Orsú, giurami adesso per l'acqua di Stige funesta,
con una man toccando la Terra feconda, con l'altra
lo scintillante Mare, perché testimoni a noi due
siano gli Dei che sotterra dimorano, a Crono d'intorno,
che sposa una darai a me delle floride Grazie
Pasitea, per cui notte e giorno mi struggo di brama».
Cosí diceva. Ed Era, la Dea dalle candide braccia,
fece com'egli disse, giurò, tutti i Numi invocando
ch'anno dimora nel Tartaro fondo, e son detti Titani.
Fatto l'accordo i due giungono al monte Ida dove si trova Giove, e Hypnos sta bene attento a non farsi vedere, per prudenza si nasconde fra i rami di un grande abete prendendo le sembianze del nibbio.
Qui stette Sonno, prima che Giove lo avesse veduto.
Sopra un altissimo abete ascese, che allora nell'Ida
cresceva, grande grande, per l'aria levandosi al cielo,
e qui restò, fra i rami nascosto dell'albero; e forma
avea di quell'augello montano, di stridula voce,
cui càlcide i Celesti, cui gli uomini chiamano nibbio.
Era invece si mostra in tutto il suo fulgore e il potente Cronide subito s'accende di desiderio, e il suo pensiero corre alla primo loro amplesso consumato all'insaputa dei genitori.
[...] La vide il tonante Croníde;
e l'ebbe appena vista, che brama gli cinse la mente,
come la prima volta che insieme si fuser d'amore,
nel letto che li uní, di furto dai lor genitori.
Era racconta anche al suo divino sposo la storiellina della visita a Oceano e Tetide allo scopo della loro riconciliazione. Che dire? Alla seduzione si accompagna sovente la menzogna.

Giove e Giunone sul monte Ida di James Barry 1773
Ma Zeus la esorta a rimandare la sua visita, e a godere delle gioie d'amore e, per mostrare l'intensità del suo desiderio, da vero gentildio qual è, fa un bell'elenco delle sue conquiste dichiarando che non le ha mai desiderate tanto quanto desidera lei in quel momento: son soddisfazioni!
Ora si giaccia qui, la gioia d'amore si goda:
ché mai tale desire di donna mortale o di Dea
tanto d'intorno al mio cuore s'avvolse, e lo fece suo schiavo,
né allor che della sposa d'Issione amore mi vinse,
che Piritòo partorí, buon consiglio, l'uguale dei Numi,
né allor che preso fui da Dànae, la figlia d'Acrìso
dal pie' leggiadro, madre di Pèrseo, fra gli uomini il primo,
né allor che amai la figlia del tanto famoso Fenice,
che generò da me Radamanto divino e Minosse,
né quando in Tebe amai Semèle ed Alcmèna: ed Alcmèna
a luce Ercole die', figliuolo dall'anima invitta;
né quando amai Demètra, signora dai riccioli belli,
né quando amai l'insigne Latona, né quando te stessa,
come son pieno adesso d'amore e di brama soave.
Ma Era fa la ritrosa, come una comune mortale: ma che dici, ci possono vedere, che vergogna!
Ed Era a lui rispose cosí, che tramava l'inganno:
«Impetuoso figlio di Crono, che cosa mai dici?
Dunque t'ha còlto brama di mescerti meco d'amore
qui, su la vetta d'Olimpo, ch' esposta è di tutti agli sguardi?
Quale vergogna, se alcuno dei Numi che vivono eterni
qui ci vedesse, e tutto corresse a narrare ai Celesti!
Io piú non oserei, sorgendo da tale giaciglio,
tornare alla tua casa: ché troppa vergogna sarebbe!

Zeus la rassicura, sono o non sono il re degli dei? Stenderò ad avvolgerci una nuvola d'oro così fitta che neppure il sole potrà penetrarla. Il focoso dio ghermisce la sposa fra le braccia e sotto di loro, a sostenerli, spuntano fiori ed erba tenerella, e la nuvola d'oro li protegge dagli sguardi indiscreti.
«Era, temer non devi che alcuno dei Numi ci scorga,
né dei mortali alcuno: si densa una nuvola d'oro
io stenderò su noi, che neppure veder ci potrebbe
Èlio, il cui raggio, pure, piú acuto d'ogni occhio penètra».
Detto cosí, fra le braccia ghermí la sua sposa il Croníde;
e sotto ad essi fiorì la terra di tenere erbette,
di roridi trifogli, di crochi, di fitti giacinti
morbidi, ch'alti dal suolo sorgendo, sostennero i Numi.
Giacquero quivi; e sopra si stese una nuvola d'oro
bella, a coprirli; e giú ne cadevano lucide stille.
Cosí giaceva il padre, sui picchi del Gàrgaro, vinto
dal sonno e dall'amore, stringendosi in braccio la sposa.
Finalmente, vinto dall'amore e dal sonno, chiude gli occhi.
Allora Hypnos corre alle navi dei Greci a dare l'annuncio a Poseidone, il dio che scuote la terra.
E, stando a lui vicino, cosí la parola gli volse:
«Ora a tua posta agli Achèi, Posídone, reca soccorso,
e la vittoria ad essi concedi, e sia pure per poco,
sino a che Giove dorme: ché infusi letargo profondo
su lui, poi ch'Era l'ebbe sedotto in un laccio d'amore».
Alle seduzioni d'amore nessuno può resistere, neppure il re degli dei.
Gralli