Perché il mito?

17.11.2025

Orfeo che suona una cetra in mezzo agli animali, mosaico di Tarso, III secolo a.C. 

Il mito è domanda. E molte risposte.
C'è una botola nascosta sotto la sua spiegazione apparente, semplice. Se si riesce a trovarla, e ad aprirla, il mito diventa avventura, del pensiero e del sentimento. Là sotto un labirinto, non fatto per perdersi, ma per trovarsi. Un labirinto che non c'è: si costruisce percorrendolo. Il pensiero edifica le sue vie attraverso l'analisi sottile, i ricordi, le associazioni, i simboli, le metafore. Il sentimento crea gli specchi, fluidi come la fonte di Narciso, l'immagine che restituiscono è proteiforme - non siamo mai sempre gli stessi - e non è solo la nostra, ma quella di tutti coloro che hanno avuto l'ardire, nei secoli, di scendere attraverso la botola del mito: l'ardire di conoscere se stessi, come individui e come specie.
Chi è Orfeo? Siamo noi. Il nostro canto è il suo, anche se non così ammaliante: amore, speranza, disperazione, gioia di vivere, paura.
La nostra sfida è la sua: il temerario, vano, tentativo di sconfiggere la morte, in qualunque modo.
Il nostro errore è il suo: voler guardare ciò che non c'è più, sperando che ci sia ancora.

L'interpretazione moderna di Giorgio de Chirico. Orfeo trovatore stanco 1970

Ma noi siamo anche Euridice: la vita, bruscamente interrotta, la giovinezza perduta, la delusione, il rimpianto; la caduta nel buio, la rassegnazione della permanenza fra le ombre e la vana speranza dell'uscita. Ombre e buio, simbolici, diversi per ciascuno, oltre quelli finali. Saremo Euridice per qualcuno che ci avrà amato e tenterà di sottrarci al grigio dell'oblio, l'unica, effimera, forma di immortalità concessa agli umani dagli dei.

Jean-Baptiste-Camille Corot, Orfeo ed Euridice part.

Gli antichi, pur nelle tante varianti, accettavano il mito per quello che era; il suo nucleo di senso, il mitologema, non richiedeva interpretazioni diverse. La discesa agli inferi di Orfeo significava una sola cosa: nessuno può tornare in vita. L'essere umano tenta di convincere gli dei a restituire ciò che hanno preso, ma messo alla prova, una prova semplice sembrerebbe, fallisce.
Il grande fascino narrativo di questo mito sta proprio nel non avere un lieto fine, ma soprattutto nel modo in cui si realizza il fallimento. Orfeo con la sua arte riesce a persuadere i sovrani infernali, assurge al divino col suo canto, ma la sua umana debolezza gli impedisce di portare a termine l'impresa. Esemplificazione perfetta della nostra natura ibrida.
Sono gli uomini del nostro tempo, diciamo a partire dal '900, più disincantati (così parrebbe), ad interrogarsi su altri significati del mito che, pur mantenendo la sua forte valenza metaforica, ha perduto, per così dire, la sua sacralità. L'inquietudine dubbiosa di uomini e donne, in qualche modo, trascende la vicenda e si interroga sui motivi che hanno indotto Orfeo a voltarsi: insoddisfacente la risposta del troppo amore. 

Giorgio de Chirico, Orfeo solitario 1973

Qualcuno comincia anche a dar voce ad Euridice, muto oggetto del desiderio e premio, mancato, dell'impresa eroica; non più personaggio dalla semplice funzione narrativa, ma donna vera e desiderante, consapevole della propria condizione effimera, che cerca nell'amore, nel presente, il senso dell'esistenza, un cogli l'attimo disperato e sensuale. Vedere l'interpretazione del pittore Frederic Leighton e del poeta Robert Browning. 

https://www.bibliosalotto.it/l/che-faro-io-senza-orfeo/

I prossimi articoli saranno dedicati a queste nuove voci, a queste moderne interpretazioni del mito, che ci chiamano tutti in causa.

Qui tutti gli articoli precedenti.

https://www.bibliosalotto.it/orfeo/

(continua)                                                                                                                                             Gralli