Le Relazioni Pericolose: ultima figura, l'Ambiguità.

19.10.2025

La rappresentazione è finita, ma come? Quel che si può dire è solo: giustizia è fatta, ma con un'ombra di dubbio. I futuri lettori giudicheranno in coscienza e libertà. Tuttavia, anche senza rivelare la sorte dei personaggi, molto altro si può dire dello "spettacolo".
La forma, innanzi tutto. Lo stile epistolare, tanto in voga all'epoca, non è solo una moda letteraria, ma una precisa scelta estetica che risponde ad un'esigenza di circolarità espositiva: la storia termina con una grande scatola di lettere, una sorta di lascito testamentario, e comincia con la loro lettura. Ma non solo: gli eventi prendono avvio da una vendetta, e si chiudono con un'altra vendetta.
Notevole la costruzione narrativa: la successione delle lettere, ben 175, avviene con scansione musicale, la storia si potrebbe paragonare ad una grande sinfonia. Le voci, di diverse coloriture sonore, procedono parallelamente, si incrociano, si scontrano, ma tutte concorrono a formare un amalgama armonioso che consente al lettore di seguire senza fatica ogni vicenda.

Jean Raoux, Giovane donna che legge una lettera, 1734 

Lo stile epistolare inoltre, risponde anche ad una esigenza etica, per così dire: consente all'autore - che si cela sotto la veste protettiva del curatore di quella copiosa corrispondenza - di farsi da parte, di lasciar parlare gli attori in commedia, perché è della loro vita che si tratta, il giudizio non compete allo scrittore, che riporta semplicemente i fatti, ma a chi leggerà il romanzo.
Ogni lettera rivela lo stile, la personalità e le intenzioni di chi la scrive, anche se qualcuno di loro (o tutti?) mente. Sono proprio queste menzogne a dire su di essi la verità. Ogni personaggio lascia sulla carta tutte le emozioni più segrete, che tuttavia riescono ad affiorare, sia pure parzialmente; le passioni che divorano l'anima, siano distruttive come l'odio o tormentose come il desiderio amoroso; la disperazione o il pentimento; le paure e il senso del vuoto; la rabbia e il dolore. Il lettore, che naturalmente non crede all'ingenua (o ironica) trouvaille di Laclos, non  può che rimanere ammirato dalla sua profonda conoscenza degli esseri umani, dall'abilità con la quale scava nelle pieghe più oscure dell'animo, mettendo allo scoperto ipocrisie, contraddizioni, contorcimenti della coscienza, di personaggi diversi per genere, età, carattere. 

Gabriel Metsu, Uomo che scrive una lettera

Nonostante la dichiarazione iniziale dell'autore, l'intento non è moralistico, almeno non in quanto separa il grano dal loglio, il bianco dal nero: non vuole rappresentare la lotta fra il bene e il male, ma l'ambiguità di entrambi, sottesa alle regole sociali e in conflitto all'interno dei personaggi.
Tutti hanno luci ed ombre, e i "buoni" sono davvero tali? Non è che ciascuno di loro risponde, più o meno maldestramente, a qualcosa che li trascende, che non è una legge superiore, ma piuttosto la forza incoercibile delle convenzioni sociali? Sono queste che ne determinano i comportamenti, nel bene e nel male, nel disperato bisogno di affermare la propria libertà, di dare un senso alla propria vita, la quale si recita sul palcoscenico, di fronte alla platea del mondo, il loro mondo, aristocratico e fatuo, pronto a distribuire approvazione o disprezzo sulla base della pura apparenza.
Con maggiore o minore consapevolezza, ciascuno recita la sua parte in questa raffinata commedia degli intrighi, che però diventa tragedia quando il copione, sotto la spinta di eventi non più controllabili, cambia, e gli attori privi di una parte certa si accasciano come marionette col filo spezzato: per loro la danza è finita. L'ultima figura della quadriglia l'Ambiguità la danza lo scrittore
. Se nella presentazione ostenta una scoperta intenzione moralistica (col dubbio dell'ironia per un lettore scettico), lo svolgimento della vicenda lascia parlare i fatti, anche laddove taluni personaggi si producono in epistolari buoni sentimenti. La morale della favola la deve tirare il lettore, come sempre accade nelle grandi opere della letteratura, che possono avere una visione ideale della realtà, ma non sono mai smaccatamente didascaliche. La vera arte è sempre ambigua, è la sua essenza.

Monsieur Choderlos de Laclos (1741-1803) Alexandre Kucharsky (attribuito) 

L'ingenua Cecile, da allieva riluttante di Valmont, è diventata una donna esperta, ma abbandona la scena, le manca il talento per sostenere la parte. La virtuosa Madame Tourvel, travolta da una passione che l'ha rivelata a se stessa, è ormai incapace di rientrare nel ruolo precedente. E così Valmont che, fin dalle prime mosse del suo assalto alla Virtù e alla Religione, ha avuto sentore della sua sconfitta. L'ultima disperata crudeltà, messa in atto per salvarsi dall'amore, lo mostra al lettore, e a se stesso, nella sua vera sostanza: la vacuità. Come l'Agilulfo calviniano era un cavaliere inesistente, un'armatura vuota, alienato dalle regole sociali esteriori, così Valmont è un don Giovanni inesistente, un cicisbeo che sotto i merletti e la parrucca incipriata, nasconde il vuoto. Gli manca la coerenza luciferina del Tenorio, creato da autori diversi, che in tutte le rappresentazioni nelle quali ha recitato, non si è mai arreso, piuttosto ha preferito che l'inferno lo inghiottisse. Valmont invece ha scelto il ruolo di Sansone.

E la Marchesa? Lei è la sola ad aver sostenuto, con lucida consapevolezza la sua parte, scrivendo anche quelle degli altri attori della compagnia.
Il suo ruolo è quello della ricca vedova, saggia e rispettabile, copertura che le consente di godere dei piaceri del sesso - amministrati con prudenza, lontano da occhi indiscreti - senza nessun coinvolgimento passionale, facendo del partner di turno un mero strumento, neppure troppo stimato umanamente il più delle volte. Il suo ruolo è, come dice a Valmont: Dominare il vostro sesso e vendicare il mio.
 
La sua rappresentazione, di successo, sulla scena di un mondo che relega le donne ad un ruolo subalterno, è il frutto di un lungo apprendistato, osservazione paziente di esseri umani e comportamenti, e studio, sui libri.
Lo scrive in una lunga lettera e lo dice, per bocca di Glenn Close, in una scena memorabile del film di Stephen Friars.

Il suo comportamento segue i principi enunciati da Diderot nel Paradosso sull'attore, la cui prima stesura avvenne più o meno negli stessi anni di composizione del romanzo di Laclos. Secondo Diderot il bravo attore non agisce sotto la spinta emotiva, ma usa la razionalità e l'osservazione della realtà per rappresentare le emozioni. L'attore "emotivo" prova sentimenti autentici, ma nelle repliche della recitazione la sua esibizione può diventare inaffidabile; la "freddezza" razionale crea un modello stabile del personaggio e credibile nell'azione.
Nell'epilogo nuovamente si attua quel movimento circolare di cui si è detto precedentemente: le prime lettere  fra la Marchesa e Valmont sono la manifestazione della prima figura della quadriglia, la Complicità, che andrà in frantumi in una delle ultime lettere. 

Anche questo commento deve compiere un movimento circolare, per negare un'affermazione frettolosa, superficiale, fatta all'inizio: non è vero che questo non è un romanzo d'amore, bisogna intendersi sul significato del termine, posto che ne abbia uno. Questa scena fra i due "malvagi" del romanzo spiega molte cose, vere ancora oggi; una canzone di due secoli dopo ne è testimonianza.

Gralli